Non solo Tarina: frammenti di vite spezzate e la forza della solidarietà

A ruota libera: sulla traiettoria di viaggi ed idee - Dietro nomi comuni, storie di abusi e la speranza offerta da una rete di supporto. Una testimonianza immaginaria che svela la realtà della violenza domestica e la difficile scelta di fuggire

Non solo Tarina: frammenti di vite spezzate e la forza della solidarietà
di autore Grazia Maria Sacco - Pubblicato: 14-04-2025 12:00 - Tempo di lettura 4 minuti

"Ciao sono Tarina, e volevo scrivere di me.

Ma si può iniziare la propria storia usando un nome di fantasia? Si, se il macigno della vergogna ancora ti preme sul petto e non sei pronta per mettere nero su bianco il tuo vero nome, perché che sei tu in questa storia ancora fatichi ad accettarlo. Sembrava ieri che lasciavo il mio Paese, con una laurea in mano, a farcela in un’altra terra, a pensare che lo studio ed il mio sogno da insegnante mi avrebbero fatto accedere a quell’agiatezza e sicurezza che in casa non avevo mai avuto.

Ma poi penso che non ha importanza il nome; quante Tarita, Anna, Chiara, Claudia, esistono nel mondo che come me stanno raccogliendo a terra qualcosa.

Una scheggia di vetro, schizzata dalla lavastoviglie aperta; sta lì, forse è mezza rotta, come tante altre cose qui in casa, come tutte quelle cose toccate abitualmente dalla sua furia, mentre mi sposto, mentre mi riparo dietro di loro, mentre scappo per indovinare una via di uscita, ma di là c’è la bambina che dorme, e non voglio urlare, non voglio piangere, non voglio che si svegli in mezzo al terrore.
Stavolta non è stato il bicchiere di vino, quello del dopo lavoro, del bar abituale e della sbronza che ripaga dalla fatica; un suo diritto insomma, che prevede il sacrificio di quello mio e della nostra bambina alla serenità; e non è stato manco qualche sniffata della quale  ormai riconosco a distanza i segnali, quelli che, a volte, mi fanno chiudere in camera, a chiave, giusto in tempo, perché gli passi, perché si addormenti , perché io stasera non tema di morire, come ogni volta che le sue mani mi afferrano il corpo ed io ho la sensazione che non si fermeranno se non dopo avermi uccisa.

Stasera il capo lo ha rimproverato, perché probabilmente è distratto; perché fa troppe e lunghe pause; perché è poco concentrato , e di me, che oggi sono contenta per quelle ripetizioni che vanno sempre meglio e mi fanno guadagnare qualche euro per provvedere alle cose essenziali, è infastidito.
Lo disturba che sia soddisfatta. Forse lo ha sempre disturbato la mia serenità, come se fosse per lui la cassa di risonanza dei suoi fallimenti.

Ho in tasca il numero di telefono di un’Associazione, me lo ha dato il mio Avvocato: mi ha detto che anche con le nuove norma a tutela delle donne che subiscono violenza domestica, i tempi della giustizia potrebbero essere più lunghi di quelli di cui ho bisogno io ora.

Mi sento in colpa mentre ho in mano la cornetta; in colpa per il padre che ho scelto per mia figlia; in colpa verso la società e la mia famiglia mentre passa lo spot di una nuova automobile che scheggia su una strada che costeggia il mare e dentro c’è una moglie felice, un marito sorridente che le accarezza l braccio e dietro spunta il sorriso vispo di un bimbetto.

Mi sento in colpa perché pensavo che a me , unica laureata in famiglia, che mi riempivo la bocca di ideali e non me ne facevo passare una sotto al naso, non sarebbe mai accaduto quello che sentivo in tv.
Mentre ora non c’è tempo, neanche di riempire una mia di valigia, di tornare a svuotare i cassetti con calma, di riprendermi i miei oggetti, i miei ricordi: mi hanno detto all’Associazione salvamamme che mi daranno loro tutto l’occorrente, per me e la mia piccola, sarà il mio passaporto per una vita nuova; avrò tutto quello che necessito per allontanarmi da questo incubo, mettere la sera la bimba a letto senza la paura che si svegli mentre il padre mi urla addosso.

Non ci potrò mettere dentro quella valigia nulla nemmeno di suo; nemmeno forse i suoi giochi preferiti; la fuga deve essere immediata e al tempo stesso non destare sospetto.
Sto chiudendo la porta, me ne sto andando ora, ci voglio lasciare qui dentro tutto quello che non mi sono mai riuscita a perdonare.

Perché è così che viviamo spesso noi donne, con quel senso di colpa sul petto: quando non ci sentiamo abbastanza, quando ci sforziamo di meritare un amore che dovrebbe seguire un corso del tutto diverso; quando ci diciamo che se avessimo avuto più pazienza; che se fossimo state più presenti e più attente; più brave in tutto, come ci vogliono ora, dinamiche, efficienti, in carriera, ma anche accudenti e premurose, avremmo salvato quello che oggi non c’è più. Perché è salvare le cose, che ci è stato sempre chiesto. Mica di salvare noi stesse, come ora, per fortuna sto facendo. E no, non mi sento in colpa, se non per non averlo fatto prima”.

Questa lettera l’ho inventata, sentendo la testimonianza più succinta e breve di una donna che abbiamo ascoltato nel corso della Conferenza stampa “Valigia di salvataggio”, che si è tenuta martedì 8 aprile, presso la Sala Restagno del Comune di Cassino, alla presenza di diverse Autorità ed Istituzioni, fra le quali il Sindaco del Comune di Cassino Dott. Enzo Salera; il Presidente del Tribunale Dott. Lucio Aschettino; l’Ispettrice di Polizia Erica Gasperini; la Dott.ssa Maria Grazia Passeri, Presidente dell’Associazione Salvamamme; la Dott.ssa Carmela Cassetta, Ambasciatrice della Associazione Salvamamma; il Presidente del COA di Cassino Avv. Giuseppe Di Mascio e noi organizzatrici Avv.te Grazia Maria sacco, Maria Barbbbara Gradini, Bruna Toti e Sara Simone.

E mentre la inventavo, mi è venuto in mente l’ultimo pezzo di Silvia Avallone sul “Corriere della Sera”, che parla di come noi donne ci sentiamo in dovere di essere infallibili; ma anche il film “Diamanti”, e quella sensazione che serpeggia la pellicola dall’inizio alla fine, avvolgendo le sue protagoniste, forti o deboli che siano, in carriera o no, di spiccato successo o meno, timide o estroverse: quella maledetta impressione di non essere adeguate, di non essere abbastanza, di essere sempre indietro rispetto a quello che si aspetta il mondo e che ci aspettiamo noi stesse.

“Siamo come le formiche. Sembra che non contiamo niente noi, ma INSIEME siamo tutto”.

Soltanto un’intera città può salvare la vita di una donna. Nel frattempo riconosciamoci il diritto di essere imperfette e di non tenere in salvo nulla che prescinda dall’amore e rispetto che ci dobbiamo.





Articoli Correlati


cookie