Quel filo rosso che lega l'alligatore di Hitler al finanziere di Sant'Ambrogio

Quel filo rosso che lega l'alligatore di Hitler al finanziere di Sant'Ambrogio
di autore Redazione - Pubblicato: 29-05-2021 00:00

IL FATTO - Un anno fa moriva Saturn, un alligatore scampato ai bombardamenti di Berlino: una storia che si incrocia con la storia personale della prigionia del cassinate Angelo Riccardi che, in seguito ai rivolgimenti dell’8 settembre, fu preso prigioniero dai tedeschi a Corinto, in Grecia, e deportato nei lager di Berlino

Angelo Riccardi

Saturn era uno degli alligatori scampati ai terribili bombardamenti dello Zoo di Berlino del 22 e 23 novembre 1943. Era nato negli Stati Uniti e precisamente nello stato del Mississipi; venne regalato allo zoo di Berlino nel 1936, in occasione del nuovo allestimento per le Olimpiadi.  È morto, lo scorso anno, all’età di 84 anni, sicuramente un’età avanzata per un alligatore. Si dice che Adolf  Hitler, attratto dalla sua presenza, sia andato più volte a vederlo.  

Dopo la distruzione di Berlino, si persero le tracce di Saturn fino al mese di luglio del 1946, quando dei soldati britannici lo trovarono e lo consegnarono a degli ufficiali dell’Armata Rossa dell’allora Unione Sovietica, i quali lo trasferirono allo zoo di Mosca. Nella capitale sovietica Saturn godette di un’immensa popolarità, anche perché intorno a lui si diffuse la leggenda che fosse appartenuto a Hitler. Questa storia singolare si intreccia incredibilmente con le vicende personali legate alle prigionia del giovane finanziere Angelo Riccardi, di Sant’Ambrogio sul Garigliano che, in seguito ai rivolgimenti dell’8 settembre, fu preso prigioniero dai tedeschi a Corinto, in Grecia, fu deportato nei lager di Berlino e destinato, come tanti, ai lavori coatti.

Saturn imbalsamato

Qui, in seguito al rifiuto di ogni forma di collaborazione con il nazifascismo, andò incontro ad umiliazioni di ogni sorta e atroci sofferenze. Fu costretto principalmente a lavori di sgombero di macerie, in quanto le incursioni aeree degli alleati sulla città, nell’inverno ‘43/44, si erano notevolmente intensificate. In seguito ai due terribili bombardamenti dello zoo, Angelo Riccardi, con altri prigionieri, fu impegnato per alcuni giorni in attività di recupero e di ripristino del giardino zoologico devastato.  

Insieme a lui, nella squadra di lavoro, chiamata Arbeitkommando, vi erano Luigi Miele di San Vittore del Lazio, Alessandro Diodati di Mignano Montelungo e Gruden Giovannini di Bolzano, il quale, conoscendo il tedesco, fungeva anche da interprete ed era un punto di riferimento dei prigionieri. Angelo Riccardi nel suo racconto di prigionia parla di quei giorni concitati di morte e distruzione:

Gruden Giovannini

“La mattina seguente le guardie tedesche ci svegliarono prima del solito, era ancora buio, entrarono come delle furie nelle baracche e urlando “Rauss, Rauss, Appell!” Capimmo che era successo qualcosa di molto grave. Con calci e spintoni ci fecero preparare velocemente per andare a lavoro.  Ci condussero, passando per Potsdamer Platz, verso il quartiere dello Zoo Tiergarten.

Il percorso fu accidentato, a causa sia dei crateri, che delle rovine dei palazzi crollati per le bombe. Arrivammo nella zona residenziale, un quartiere elegante talmente distrutto, che a stento si riconosceva l’ampio viale, chiamato Ku’damm. Uno scenario a dir poco catastrofico si presentò ai nostri occhi; voragini dappertutto, binari dei tram sradicati, palazzi squarciati ancora fumanti, solai e travi di legno che bruciavano ancora, fabbricati che improvvisamente crollavano, macerie che franavano, nuvole di polvere che si innalzavano, fumo e fiamme”. 

Un giardino zoologico così devastato toccò profondamente Angelo e i suoi compagni di prigionia. Gli animali morti erano migliaia, della maggior parte essi non conoscevano neanche l’esistenza. Il racconto della prigionia continua così:

“Fummo impressionati dalla visione di alcuni grossi coccodrilli scaraventati in strada a causa di una delle esplosioni. Il laghetto a loro destinato ne ospitava una quindicina, ma di essi alcuni erano già morti e altri, che erano morenti, ancora si dimenavano feriti e bruciati. Di conseguenza fummo incaricati di sistemare la recinzione che era una staccionata in legno non molto alta, tutta sventrata, dove si trovavano coccodrilli e alligatori. Dovemmo portar via quelli morti con grande difficoltà, dovuta al loro peso e alle grosse dimensioni.

Alcuni li dovemmo liberare dalle macerie dovute al crollo di una costruzione orientaleggiante. Li sistemammo uno alla volta su due pali messi di traverso e, chi da un lato e chi dall’altro, li trasportammo fuori dal recinto, nel punto di raccolta degli animali privi di vita. Soltanto due, lunghi oltre tre metri, erano rimasti illesi e, impauriti ed immobili, si erano riparati sotto dei tronchi di palma frantumati. Dovemmo ripristinare alla meglio la recinzione danneggiata, per evitare che essi scappassero via. Ci ordinarono di ripulire tutto lo spazio dalle tante macerie e dai resti dei tronchi, in modo da ottenere un’area più accessibile e permettere loro di riprendere una sorta di normalità”.

 Dei due alligatori, di cui parla Angelo, uno era sicuramente Saturn, furono recuperati e messi in salvo dalla squadra dei prigionieri italiani, chiamati IMI, Internati Militari Italiani, di cui quel giorno facevano parte Angelo Riccardi di Sant’Ambrogio sul Garigliano, Luigi Miele di San Vittore del Lazio, Diodati Alessandro di Mignano Montelungo e Gruden Giovannini di Bolzano. Dopo la morte Saturn è stato imbalsamato e da metà gennaio 2021, il cosiddetto “Alligatore di Hitler” è esposto nel Museo di Scienze Naturali di Mosca.





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