Opinioni - Mentre il Partito Democratico alza la voce sulla crisi occupazionale, Fratelli d'Italia, al governo, resta in silenzio. Il Cassinate è intrappolato tra denunce e omissioni, senza una chiara strategia per il futuro.
Il cassinate è un malato grave. Questa non è più un’esagerazione giornalistica, ma la fotografia quotidiana di una comunità intera. Chi vive a Cassino lo sa: le fermate produttive dello stabilimento Stellantis non fanno più notizia, gli ammortizzatori sociali sono diventati pane quotidiano, e ogni mese c’è qualche azienda dell’indotto che chiude o si sposta altrove. Non c’è bisogno che qualcuno venga a dirci che la situazione è drammatica: lo tocchiamo con mano.
Eppure, paradossalmente, è proprio su questo terreno che si gioca la partita della politica. Da un lato ci sono le voci del Partito democratico, con Antonio Pompeo in prima linea. Ogni volta che parla sembra leggere un referto medico: il malato è grave, la crisi avanza, la desertificazione incombe. Pompeo riempie i giornali, occupa lo spazio mediatico. Fa il suo mestiere: non governa, non decide, ma denuncia.
Il problema è che dall’altra parte, quella che governa davvero, regna un silenzio assordante. A Cassino Fratelli d’Italia si presenta come minoranza in Comune, ma nelle stanze del potere è maggioranza assoluta: a Roma con il Governo, a Roma e a Frosinone con la Regione Lazio. Ha tutte le leve per incidere, eppure tace. Non spiega, non rivendica, non guida.
Non si può dire che nulla sia stato fatto. Qualche iniziativa c’è stata e va riconosciuta: la Regione ha stanziato 5,5 milioni di euro per sostenere le PMI dell’indotto, con interventi su innovazione, internazionalizzazione e riconversione; è stato istituito un tavolo permanente di crisi; la vicepresidente Angelilli ha parlato di un piano B, con una linea di credito da 120 milioni di euro insieme alla Banca Europea per gli Investimenti e l’ipotesi di puntare su aerospazio e farmaceutica; i sindacati hanno chiesto con forza una task force nazionale che coinvolga Ministero, Regione e Stellantis.
Sono tutti passi concreti. Ma la verità è che, per ora, restano insufficienti. I fondi stanziati sono una goccia nel mare rispetto alla portata della crisi. I tavoli restano tavoli finché non producono decisioni operative. Il piano B è un annuncio, non ancora un progetto. E intanto la realtà corre molto più veloce: oltre 250 lavoratori usciti volontariamente, stabilimento fermo, indotto in ginocchio.
Qui non serve solo la cronaca delle difficoltà, serve una visione chiara. Bisogna decidere se l’automotive ha ancora un futuro o se occorre una riconversione industriale radicale. Bisogna scegliere settori strategici e investirci davvero, non limitarsi a evocarli. E bisogna mettere al centro una risorsa che abbiamo e che molti territori ci invidiano: l’Università di Cassino. Con il suo polo di ingegneria di livello nazionale, potrebbe diventare il cuore della transizione, il ponte tra ricerca e industria, il luogo in cui si formano le competenze per i nuovi lavori. Tenerla ai margini significa sprecare un’occasione storica.
Il paradosso politico è tutto qui: da un lato chi urla senza avere strumenti, dall’altro chi ha strumenti ma non parla. Pompeo e il Pd denunciano, Fratelli d’Italia governa in silenzio. E i cittadini restano schiacciati tra chiacchiere e silenzi, tra annunci e omissioni.
Non si tratta di cercare colpe a tavolino, ma di pretendere responsabilità. Perché un territorio che muore non si salva con i comunicati stampa e nemmeno con i tavoli permanenti. Servono decisioni, coraggio, scelte industriali chiare.
Ed è a questo punto che la domanda si impone, senza giri di parole. Non è un gioco di retorica, ma un grido di chi qui ci vive: ma ci fate o ci siete?
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