La protesta degli agricoltori riguarda tutti noi, non è una questione di settore

Opinioni - Chi pensa che sia una questione specifica di una categoria sbaglia. Riguarda la nostra libertà e possibilità di scelta dei cibi prodotti localmente, il paniere dei costi che il consumatore dovrà pagare in assenza di una produzione interna che regoli meglio il mercato. Riguarda, infine, la sicurezza alimentare di un Paese e per una certa parte l’autosufficienza di cibo sugli scaffali dei supermercati

La protesta degli agricoltori riguarda tutti noi, non è una questione di settore
di autore Alberto Simone - Pubblicato: 30-01-2024 19:22 - Tempo di lettura 5 minuti

E’ arrivata anche in Italia la protesta degli agricoltori, iniziata in Germania, si è poi espansa alla Francia e adesso tocca anche la nostra  penisola, con la presenza nelle strade e nelle piazze delle maggiori città italiane, dalla Sicilia al Veneto, di centinaia di trattori guidati da coltivatori ed imprenditori agricoli ormai stanchi delle politiche agricole del Green Deal imposte ultimamente dall’UE.
La protesta sta attraversando l’Europa dal nord al sud e si espanderà progressivamente a tutti i Paesi  dell’Unione, in quanto il malessere del mondo agricolo è ormai generalizzato a tutte le aziende del settore, sia piccole che grandi.


Gli agricoltori italiani al pari dei loro colleghi europei lamentano gli alti costi della sostenibilità ambientale imposta  loro da Bruxelles per realizzare l’Agenda green, gli alti costi di produzione  per effetto del prezzo del carburante agricolo che accanto all’alto livello di tassazione irpef, adesso introdotta anche sui terreni, ed alle scarse tutele delle produzioni nazionali in favore delle importazioni estere, costituiscono un mix di situazioni sfavorevoli che mettono in ginocchio le aziende italiane di latte, carne, ortofrutta e cereali; cioè l’intera filiera produttiva agricola nazionale. 
All’insegna dello slogan di NO FARM, NO FOOD, NO FUTURO riportato sui cartelli esposti sui trattori, gli agricoltori di tutto il Paese si sono uniti per far sentire la propria voce e denunciare il grave disagio in cui versano le proprie aziende a causa delle scellerate politiche agricole europee, tutte all’insegna di un ecologismo estremo dietro al quale si celano, a detta degli stessi agricoltori, interessi lobbistici ed economici di portata transnazionale.


E’ bene ricordare che il mondo agricolo italiano ha circa quattro milioni di occupati che rischiano di  essere fortemente penalizzati circa il proprio reddito ed il futuro delle loro aziende.
Gli agricoltori non solo contribuiscono a calmierare i prezzi dei prodotti che giornalmente arrivano sulle nostre tavole ed a garantire un alta qualità delle materie prime prodotte rispetto a quelle di importazione, ma generano un aumento del Pil nazionale sia per le esportazioni che per l’indotto che ruota intorno al settore, come l’acquisto di macchine agricole e mezzi meccanici, quello di oli e carburanti, l’acquisto dei semi e concimi, ecc..


Disincentivare l’agricoltura europea, che invece andrebbe fortemente sostenuta puntando ad un sistema di autosufficienza, con l’idea che ci penserà il mercato ( quello globale) a garantire le forniture alimentari è una follia pensabile solo da quegli establishment burocratici che guardano la realtà attraverso le carte ( il più delle volte fornite dalle stesse lobby) senza mai mettere piede nel reale e senza assumersi poi alcuna responsabilità in futuro per le decisioni prese.

Abbiamo già sperimentato nel corso della passata pandemia del Covid quanto sia stato dannoso dipendere per medicine e tecnologie da forniture estere, provenienti dalla Cina o da altre parti del mondo, cosa che ci ha costretto ad una emergenza fatta solo di lockdown e paracetamolo ( mancavano antibiotici, antivirali, antinfiammatori, mascherine,  disinfettanti, ecc...) ed ancora adesso vediamo quanto siano lievitati i costi delle forniture di cereali ed a cascata i prodotti da essi derivati ( pasta, pane, mangimi, ecc..)  a seguito della guerra tra Russia ed Ucraina, ma nonostante ciò a Bruxelles si continua a programmare ed a decidere sulla base di dogmi incomprensibili che  rischiano di rendere l’UE  una zona in recessione sia sul piano della produzione industriale che di quella agricola.
Gli agricoltori italiani ed europei sono scesi in strada a testimoniare il loro disappunto, con proteste pacifiche ma determinati a farsi ascoltare dai propri governi, nonostante stampa e televisione marginalizzano in qualche modo il problema.

Ma cosa si cela dietro una protesta così grande dilagata in tutta Europa in così poco tempo? Questa è la domanda che dovremmo farci tutti. E’ una questione di settore o è una questione di tutti? Chi pensa che sia una questione specifica di una categoria sbaglia, si tratta di un problema che ci riguarda tutti, riguarda la nostra libertà e possibilità di scelta dei cibi prodotti localmente secondo i metodi tradizionali, rispetto a quelli  di importazioni estere extra Ue  di cui sappiamo poco circa qualità e sicurezza, o di quelli processati dall’industria ed in alcuni casi additivati e stabilizzati con aggiunta di zuccheri e coloranti che possono nuocere alla salute.


Riguarda il paniere dei costi che il consumatore dovrà pagare in assenza di una produzione interna che regoli meglio il mercato. Riguarda infine la sicurezza alimentare di un Paese e per una certa parte l’autosufficienza di cibo sugli scaffali dei supermercati. Oltre ciò, la protesta oggi in atto ci mostra ancora una volta  più in generale i mali di cui è afflitta la Comunità Europea, strutturata solo sul piano monetario, ma carente sul piano della piena rappresentatività degli interessi comuni a cittadini, corpi sociali, categorie, ecc.. .

Di fatti decide tutto una Commissione, designata ma non eletta, a fronte di un Parlamento eletto ma  con poche funzioni legislative e soprattutto spogliato in concreto dei poteri di controllo.
Manca una unità politica europea, manca una politica estera comune, una difesa europea comune, un piano industriale, energetico ed agricolo comune, in assenza dei quali opera insindacabilmente la Commissione con le linee e normative  indirizzate agli Stati membri come quelle che riguardano al stabilità finanziaria, la transizione ecologica, il mercato, l’immigrazione, ecc.. .


In questo quadro si collocano anche le quote della produzione agricola, le cosiddette PAC, il Green Deal,  il sistema dei sussidi, ed altro ancora che più specificatamente sono destinate al settore agricolo.
Il punto è che l’intero sistema delle politiche economiche ed agricole europee non sono state pensate per l’ampliamento della produzione e dello sviluppo del mercato interno, con il fine di migliorare il reddito di famiglie ed imprese, ma con l’obiettivo di realizzare al più presto la transizione ecologica ed ambientale in pochi anni, pur sapendo che in uno scenario globale sempre più complesso per effetto di guerre e di destabilizzazioni dei mercati ciò comporterà per molti Stati europei una fase di recessione che graverà molto sulle condizioni economiche  di famiglie ed imprese. 


La protesta degli agricoltori dunque non è che l’anticipazione di un futuro che si prospetta buio per molti, a meno che con le prossime elezioni europee di giugno non si determinino cambiamenti di rappresentanza parlamentare tali mettere in discussione le linee programmatiche precedenti ed allineino la nuova Commissione su una visione nuova e più aderente alle reali esigenze e priorità 
attuali, che non sono solo  il cambiamento climatico  rispetto al quale l’Europa incide circa per il 2% rispetto alle emissioni del resto del mondo, ma il problema di una sicurezza europea rispetto ad una potenziale minaccia russa, il rilancio della produzione agricola ed industriale del vecchio Continente, la stabilità finanziaria dell’euro, l’aumento dell’occupazione e del reddito pro-capite, la gestione delle frontiere e dei flussi migratori, la sicurezza e la tutela della salute ed  infineuna migliore qualità della vita di oltre 500 milioni di cittadini europei.


Gli Agricoltori vanno perciò ascoltati, perché è gente che lavora tutto l’anno  per oltre 12 ore al giorno e da noi contribuiscono a circa il 4% de Pil nazionale,  e adesso con questa singolare protesta, che si spera resti sino all’ultimo civile e corretta,  hanno abbandonato i  campi  e le stalle per raggiungere con i loro trattori le piazze delle maggiori città  italiane e  manifestare il loro  disappunto contro tassazioni e politiche green messe in campo da un’Europa insensibile alle loro istanze.  


A loro  è d’obbligo,dunque, la solidarietà di tutti, istituzioni comprese, se non altro perché la loro richiesta di ascolto e di rappresentanza è cosa che ci riguarda  tutti come cittadini europei, in quanto contribuenti, e non solo consumatori, di una comunità che deve necessariamente garantirci per mission istituzionale  giusta rappresentanza ed ampia partecipazione  riguardo alle decisioni ed alle scelte che si fanno a Bruxelles e che pesano e peseranno sulle nostre teste.

Riccardo Pignatelli
 


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