D'Onorio e quel “pellegrinaggio” a Torino per salvare centinaia di posti di lavoro a Cassino

D'Onorio e quel “pellegrinaggio” a Torino per salvare centinaia di posti di lavoro a Cassino
di autore Mario Costa - Pubblicato: 21-12-2022 00:00

OPINIONI - L'ex abate di Montecassino, durante la presentazione del libro di Franco Di Giorgio, “Dalla Fiat a Stellantis – 50 anni di evoluzione sociale ed economica del Lazio meridionale 1972-2022”, ha raccontato l'aneddoto del suo viaggio nella casa dell'avvocato Agnelli. Il prof. Costa: "Attraverso documenti, relazioni, immagini, protagonisti, nel volume viene raccontato mezzo secolo di storia, dall’avvio della produzione delle prime 126 ad oggi. Tenere tale libro a casa, se non proprio necessario (tanto si campa lo stesso…), è quanto mai utile

di Mario Costa*

All’indomani della (ri)presentazione del libro di Franco Di Giorgio, “Dalla Fiat a Stellantis – 50 anni di evoluzione sociale ed economica del Lazio meridionale 1972-2022”, venerdì scorso, nella sala “Restagno”, l’architetto Giacomo Bianchi, su facebook, ha postato in primo piano la presenza dell’illustre relatore: l’arcivescovo Bernardo D’Onorio. Il non dimenticato già abate di Montecassino, nel suo intervento, dal tono come sempre colloquiale e diretto, ha ricordato alcune vicende legate alla Fiat che hanno fatto la storia del nostro territorio. Tra le quali quella poco conosciuta del suo “pellegrinaggio” a Torino, a casa dell’avvocato Gianni Agnelli, a chiedere la grazia (ricevuta) per la salvezza di centinaia di posti di lavoro nello stabilimento di Cassino in un momento di particolare crisi della Fiat a livello generale.

Quanto mai opportuno il post su facebook, con la forse altrettanto opportuna scritta: “Regalare un libro a Natale rallenta il tempo ed allunga la vita!!”. Uno spot pubblicitario quello di Giacomo (volontario o inconsapevole?) comunque tempestivo e di indubbia efficacia in questi giorni che precedono “la festa più bella dell’anno” e si è un po’ tutti, come da tradizione, nella ricerca affannosa, quanto ansiosa per parecchi (noi compresi), del dovuto regalo natalizio. E’ risaputo che, paradossalmente, il più delle volte la fatica maggiore non sta tanto nello scriverlo un libro, quanto nel farlo leggere. Quindi una sponsorizzazione, di qualsivoglia tipo, è sempre bene accetta. Ancor più quando viene da persona autorevole.

Dopo aver pure noi scritto qualcosa in occasione della prima presentazione, mesi fa, a Piedimonte San Germano, del lavoro di Franco Di Giorno, ritorniamo sull’argomento. Lo facciamo non mossi però dalla volontà di aggiungere un ulteriore spot pubblicitario, che peraltro non avrebbe la stessa efficacia di quello dell’autorevole architetto Bianchi, quanto invece per rilevare qualcosa di cui si è poco parlato, passata in sottordine.

Intanto, a mo’ di “incoraggiamento” alla lettura, dire che “Dalla Fiat a Stellantis” è un testo di agevole e interessante lettura. Attraverso documenti, relazioni, immagini, protagonisti, viene raccontato mezzo secolo di storia, dall’avvio della produzione (è il 12 ottobre 1972 quando escono le prime “126”) ad oggi, di uno stabilimento che, unitamente all’indotto, ha determinato una radicale trasformazione ad un territorio e al modo di essere e di vivere della sua gente.  L’autore, da sindacalista allora, ha vissuto da vicino, direttamente, molti di quegli anni. Soprattutto quelli iniziali, di cui ha raccolto, conservato e catalogato minuziosamente resoconti, fatti, momenti più significativi e rilevanti, quelli bui del terrorismo, di una storia che si conosce solo sino ad un certo punto; che molti tra i più giovani forse non conoscono affatto. E’ la ricostruzione dunque di un testimone oculare. Peraltro alquanto pignolo e scrupoloso.

Tenere tale libro a casa, se non proprio necessario (tanto si campa lo stesso…), è quanto mai utile. Se non altro come strumento di consultazione per conoscere molte cose che qui da noi sono state, altre che sono ancora, per cercare di capire dove si sta andando.  Del resto si sa pure che i libri sono i migliori amici: stanno con noi, silenziosi ci fanno compagnia e “parlano” solo quando, e se, vogliamo lo facciano.

Un’altra cosa ancora. La presenza di don Bernardo (amiamo chiamarlo così, perché così ci detta un discreto legame affettivo nato in anni lontani) in sala “Restagno” venerdì sera ha ravvivato il bel ricordo della sua partecipazione, con relativo intervento nel dibattito, ad una iniziativa dell’allora Pci. Era il 17 dicembre del 1983, si tenne nell’Aula Pacis e riguardava i lavoratori della Fiat e l’azienda naturalmente. “Una politica alternativa per rilanciare lo sviluppo e creare nuova occupazione”, era la problematica in discussione.  

Che l’abate ordinario della Chiesa diocesana di Montecassino, Mons. Bernardo D’Onorio, in qualche modo legittimasse quel partito con la sua presenza lì, fu cosa indigesta a più di qualcuno, non solo del mondo politico, ma anche a settori della Chiesa un po’ in ritardo rispetto ad un processo evolutivo nei rapporti con il mondo del lavoro e con la forza politica che dell’attenzione primaria a questo mondo faceva la sua ragion d’essere. “Carissimi, dovrei dire compagni, ma vorrei invece aggiungere fratelli, parola che ci fa sentire più di famiglia e rende più intimo il nostro incontro che spero non sia né il primo, né l’ultimo”: è l’incipit di quel memorabile intervento di un uomo, un pastore della Chiesa che aveva saputo guardare lontano.

*Già vicesindaco di Cassino





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