I trent'anni di Exodus e la messa vietata all'Abate. Il "graffio" di Costa

I trent'anni di Exodus e la messa vietata all'Abate. Il "graffio" di Costa
di autore Mario Costa - Pubblicato: 02-11-2020 00:00

OPINIONI - La comunità ha celebrato a Montecassino i suoi 30 anni e non in Cascina perchè dom Ogliari non può celebrare furi dal Monastero. L'ex vicesindaco di Cassino ricorda l'impegno dei giovani comunisti al fianco di Bernardo D’Onorio quando la Carovana di don Mazzi, nel 1990, arrivò in città. Aneddoti e retroscena

Mario Costa
Mario Costa

Già vicesindaco di Cassino

Per chi è cresciuto e pasciuto all’ombra dell’Abbazia, è sempre una emozione salire sul quel “monte a cui Cassino è ne la costa”. Arrivati lassù, già mentre ci si incammina per l’ennesima volta lungo quel tragitto in ripida salita per guadagnare l’ingresso in Abbazia (invero, ora, con un po’ di affanno per via del maggior peso degli anni sulla groppa), quasi sempre, un feedback istantaneo ci fa rivedere bambini, quando lassù ci portavano i genitori, con la corriera nei primi anni Cinquanta. E si riaffaccia più forte il malinconico ricordo di loro che non ci sono più.

 Ma si affacciano pure ricordi piacevoli di qualche “filone” primaverile di gruppo (così chiamavamo il marinare la scuola) che ci vedeva approdare lassù, dove, lasciato il banco malinconicamente vuoto, trascorrevamo piacevolmente, pur se con la coscienza non a posto, la mattinata. Lontani, lì, da sguardi inopportuni di chi, se ci avesse invece visto gironzolare in città, avrebbe potuto, malauguratamente, riferire a chi di dovere la nostra “scampagnata” non autorizzata. Anche se, quelle volte che è capitata, quella “scampagnata” è stata puntualmente scoperta e, come da prassi consolidata a quel tempo, seguita da una buona dose del pedagogico “intervento individualizzato” che ci veniva somministrato a dovere (meno male…!) da chi ci voleva bene.

Dicevamo, si prova sempre una certa emozione. L’ultima volta, sabato pomeriggio, l’emozione si è ripetuta in maniera accresciuta per un appuntamento importante, particolarmente significativo. L’abate dom Donato Ogliari celebrava una messa per i trenta anni di Exodus, la comunità di recupero di tossicodipendenti fondata da don Antonio Mazzi. C’erano il sindaco, Enzo Salera, l’assessore Maccaro, direttore responsabile della Comunità, i consiglieri comunali Alessandra Umbaldo e Bruno Galasso, il sociologo Luigi Pietroluongo, gli operatori e le operatrici volontarie, qualche familiare degli ospiti della Comunità. E c’erano loro: i “ragazzi” di Exodus. 

Pur se la solennità del momento non sarebbe stata la stessa di quella vissuta a Montecassino, sarebbe stato comunque più opportuno per Exodus festeggiare questo “compleanno” della sua vita giù, nella sede propria, su quell’area di proprietà di Montecassino, lodevolmente messa a disposizione a suo tempo per l’attività della comunità.  Discutibili ragioni da chi ne ha la potestà, la cui razio ci sfugge, pare non consentano all’abate di celebrare messa nella nostra diocesi. Opportunità e buon senso suggeriscono di accantonare, al momento, siffatta “povertà”, ove rispondesse al vero. 

Sabato scorso, dicevamo, siamo ritornati indietro con i ricordi, non agli anni più lontani della nostra vita, come solitamente ci capita, ma agli ultimi trenta. In un attimo abbiamo rivissuto quella battaglia che fu fatta – sì, proprio di battaglia si trattò - quando l’allora abate don Bernardo D’Onorio, dovette impegnarsi non poco per neutralizzare la diffidenza, quando non anche l’aperta ostilità, di alcuni residenti della zona.

Da “buoni comunisti”, eravamo allora consiglieri comunali del Pci, fummo indegnamente coinvolti in quell’azione meritoria al fianco del futuro Arcivescovo di Gaeta per un’azione di sensibilizzazione presso qualche famiglia “rossa”. In verità a quel tempo continuava ad imperare la Dc con maggioranza assoluta, ancor più da quelle parti. Di fede comunista, da qualcuno viste ancora come delle pecorelle smarrite, ce n’erano ben poche. Comunque, in nome e per conto degli ideali del Partito che a quel tempo conservava una certa autorevolezza, una mano la demmo per convincere qualcuna di quelle poche famiglie circa la giustezza di quel progetto su quei terreni che Montecassino metteva a disposizione di quel prete eccezionale qual era don Antonio Mazzi.

Un prete agli occhi di molti un po’ strano, fuori dai canoni tradizionali, che si era dato il non facile compito di andare incontro, aiutare, ospitare tanti ragazzi. Che tanto ha fatto per loro. Non solo. Ma che tanto ha fatto anche per far camminare l’idea di un’attenzione forte verso quelli che vanno presi per mano e aiutati ad uscire dal tunnel buio della droga, del disagio. Trent’anni! Come son passati in fretta, ci siam detti. 

Abbiamo seguito la cerimonia religiosa con emozione crescente nel momento della consegna dei doni all’abate: un panetto, una bottiglia di vino, un paio di scarpe, un pallone, una chitarra, uno zaino. Ognuno portatore di un messaggio. Ma l’abbiamo seguita, noi non assidui frequentatori di chiese, anche con la serenità che ha fatto di quel pomeriggio un bel pomeriggio della nostra vita. Un qualcosa che ricorderemo con piacere. Assieme alla speranza che la realtà di Exodus, come è stato ricordato, prosegua anche nell’apertura verso il nostro territorio, così come sta facendo. E anche nell’orgoglio di quelli che trent’anni fa la guardavano con diffidente timore e oggi invece circondano con silenzioso affetto l’esperienza bella di questa comunità, dei suoi “ragazzi”, di quelli che se ne prendono cura.





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