Stanchezza della speranza: "Il nostro pigro fatalismo”

Cassinate - Fortunato Di Cicco: "Auguro a me stesso e a tutti i santeliani che si ritrovi l’antico orgoglio e che si torni tutti, assieme, a ridare vita alla nostra comunità e con passione a riscrivere nuovi capitoli di questa interessante storia"

Stanchezza della speranza: "Il nostro pigro fatalismo”
di Redazione - Pubblicato: 18-03-2024 12:32 - Tempo di lettura 5 minuti

Nell’editoriale del 16 febbraio u.s. sul Corriere della Sera dal titolo “Il nostro pigro fatalismo” Danilo Taino ricorda a tutti noi lo scetticismo che dominava il dibattito pubblico nel 2016 per la paventata uscita del Regno Unito dalla Unione Europea e della possibile elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America. “Ipotesi peregrine da trascurare” si diceva. Poi avvenne che la Brexit si concretizzò e The Donald vinse. La storia ebbe uno scossone perché, spiega Taino, “La pigrizia è uno stato mentale del quale le democrazie continuano ad essere vittime … male acuto e pericoloso. L’inerzia rischia di diventare depressione e nichilismo”. (Nichilismo: svalutazione dei valori; mancanza di scopi; mancanza di risposte al perché). Fa seguire una elencazione dei mali che affliggono oggi il “nostro mondo” dall’Ucraina al Medio Oriente (conflitto israelo-palestinese), a Taiwan, la crisi economica appesantita dalla pandemia, la crisi energetica ed ambientale e tanto altro. “Siamo di fronte a svolte epocali e non è detto per il meglio. Ma non è detto nemmeno per il peggio se non sarà la stessa, nostra rassegnata passività a favorirlo”.

Questo ammonimento, che ci richiama e ci stimola alla riappropriazione del nostro senso di responsabilità, mi ha fatto tornare alla mente la domanda che il prof. Giuseppe De Rita (fondatore e animatore del CENSIS) pose a se stesso alcuni anni fa sul perché “un cattolico più guelfo che ghibellino” avesse avuto la tentazione di scrivere un libro sulle istituzioni (“Il regno inerme” – Ed. Einaudi – 2002). La risposta, egli disse, è una sola: l’indignazione. “Indignazione nei confronti di chi anziché farle vivere le tradisce perché preso da personali problemi di potere e di immagine le lascia regredire di ruolo e di prestigio”.

Ci accingiamo a vivere un periodo non breve di campagna elettorale. Si sono appena concluse le elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale in Sardegna ed Abruzzo, a seguire vi saranno quelle per i Consigli Regionali in Basilicata, Piemonte e Umbria; infine a giugno il rinnovo del Parlamento Europeo e di molte amministrazioni locali in grandi e piccole città della nostra penisola.

Fra queste ultime vi è da annoverare il rinnovo del Consiglio Comunale a Sant’Elia Fiumerapido. Nell’imminenza di questo importante evento non posso esimermi dal non fare ed esternare considerazioni partendo dalla amara constatazione di una condizione di ristagno ed emarginazione che la distingue e si protrae da troppo tempo. Condizione che in me suscita, purtroppo, come detto dal prof. De Rita “indignazione”.

Ho avuto l’onore di amministrare il mio Comune in qualità di consigliere comunale, prima, e di Sindaco, poi; eletto a tale incarico per ben tre consiliature consecutive anche se la prima venne interrotta traumaticamente non per responsabilità a me imputabili ma per vecchie incrostazioni e risentimenti estranei all’azione ammnistrativa.

Ho inoltre avuto il pregio di rappresentarlo a livelli istituzionali sovracomunali come consigliere ed assessore provinciale ai lavori pubblici e presiedendo, inoltre, enti ed organismi territoriali diversi nei quali sono stato fautore di proposte ed iniziative che hanno riscosso consenso e prodotto benefici.

Questo breve excursus sulle mia presenza ed attività pubblica negli anni è doverosa nei confronti di chi per motivi anagrafici, dato il notevole tempo trascorso dall’ultimo incarico ricoperto (2004), non può avere memoria del ruolo e dell’attività da me svolti sul territorio.

Convinto assertore della necessità di “ricambio” e di avvicendamento nelle pubbliche amministrazioni decisi che non mi sarei più ricandidato offrendo concretamente la possibilità di sperimentare e far crescere una nuova “classe dirigente” che al lavoro già predisposto e documentato aggiungesse ricchezza di slancio e nuove iniziative.

Coerentemente con quanto allora detto non mi sono più ricandidato. Sono trascorsi ben vent’anni (2004 – 2024) e si sono succedute quattro amministrazioni. Le prime due presiedute da Fabio Violi; la terza dal suo già vice sindaco Fernando Cuozzo; la quarta ed ultima da Roberto Angelosanto.

Il bilancio complessivo di questo lungo periodo è sconfortante e fortemente penalizzante per la comunità santeliana. Relegata ad un ruolo di graduale ma costante decrescita ed insignificanza. Ciò mi induce ad interessarmene nuovamente.

Le amministrazioni da me presiedute avevano lasciato in eredità un Piano Regolatore Generale già adottato e che, nonostante l’intervento della Procura della Repubblica che ne acquisì gli atti e li trattenne per ben due anni senza che emergessero irregolarità di sorta, avevamo trasmesso agli uffici regionali per la sua definitiva approvazione sul finire dell’anno 2003. Approvazione avvenuta ma resa poi inefficace in sede di Consiglio di Stato per i ben noti ricorsi tesi a tutelare interessi che nulla hanno a che vedere con quelli della comunità (decisione mai da me condivisa). Un nuovo Piano, alternativo, non è stato mai più progettato e mai adottato né dalle due amministrazioni Violi, né da quella Cuozzo, né da quella in scadenza a guida Angelosanto; e sono trascorsi ormai venti lunghissimi anni nei quali Sant’Elia e i santeliani non hanno potuto beneficiare di uno strumento urbanistico fondamentale per la pianificazione del territorio e la programmazione di tutte quelle attività possibili generatrici di sviluppo. Molte aziende presenti sul territorio hanno spostato le loro attività e i loro interessi altrove e non è stato possibile intercettare occasioni di finanziamento per la Rigenerazione Urbana, il recupero del centro Storico, il recupero della vecchia cartiera sul Rapido quale polo logistico di una pluralità di interessi tra i quali preminente era l’accordo di collaborazione e di presenza della Università di Cassino e del Basso Lazio, la possibilità ampia di una visione di progresso attraverso le numerose opportunità, uniche, offerte dagli obiettivi prefissati dal PNRR.  

Avevamo anche con orgoglio perseguito  ed ottenuto la presenza nel nostro comune della “Casa dell’Emigrante” punto di riferimento della nostra e di altre numerose comunità di italiani residenti all’estero. L’amministrazione succedutasi alla mia dopo una gestione travagliata e rendiconti non resi alla Regione Lazio, sul cui bilancio gravavano le spese di gestione, ne subì la chiusura.

Avevamo istituito e portato avanti con grande soddisfazione il premio di poesia “Sant’Elia Fiumerapido” al quale annualmente partecipavano centinaia di concorrenti ed entrato nel novero degli eventi culturali oggetto di grande considerazione. Finito anch’esso.

Così anche le numerose mostre di pittura e scultura susseguitesi negli anni di cui si è persa traccia.

Potrei continuare nella elencazione di iniziative ed opere che avevano caratterizzato quel periodo, fecondo di idee e rapporti con il mondo imprenditoriale, del lavoro, della cultura, dell’arte che davano lustro e prestigio al nome di Sant’Elia nel territorio regionale; per non appesantire questo mio intervento torneremo a parlarne in una occasione futura.

Mi corre l’obbligo, però, di soffermarmi su accadimenti recenti che mi hanno fortemente turbato e sui quali non posso tacere.

Avevo nel recente passato, anno 2022, rilevato e riportato all’attenzione del Sindaco Angelosanto e della sua maggioranza l’errore che si stava compiendo nel realizzare il “campetto di gioco polivalente” nella frazione Valleluce; veniva realizzato, senza alcuna preventiva azione di informazione della popolazione locale sulla natura ed entità dell’opera, nel posto sbagliato e nel modo sbagliato. Dopo avere avuto un incontro personale con un Sindaco muto fui costretto a scrivere e rendere ufficiali ben due lettere a lui indirizzate evidenziando le incongruenze e le inopportunità rilevate nel progetto invitando a desistere dall’iniziativa e dichiarando la mia disponibilità nel ricercare possibili soluzioni alternative. Tali mie doglianze vennero ignorate e l’opera realizzata con il risultato di avere compromesso l’utilizzo di un’area che, in sede di pianificazione generale adottata, era stata destinata a finalità di ben più vasto interesse ed utilità sociale. Quel campetto polivalente, così caparbiamente voluto e realizzato, ad oggi è poco utilizzato e l’area circostante lasciata in uno stato di incuria e semi abbandono; all’ingresso del paese.

Abbiamo preso atto in questi giorni di un altro intervento che all’improvviso, anch’esso senza alcuna informazione e discussione preventiva, si sta realizzando. Il rifacimento della piazza antistante la chiesa S.Michele Arcangelo sempre nella frazione Valleluce. Piazza che è elemento facente parte di un complesso di grande valore storico-monumentale che era ed è, nelle sue parti residuali, il “Monastero di S.Angelo”, nel quale soggiornarono, tra gli altri, per oltre quindici anni San Nilo da Rossano e San Bartolomeo.

Il mio interesse su questo complesso è stato sempre di grande attenzione. Nel ricercare gli elementi storici che lo avevano connotato, nel raccogliere le testimonianze dei miei genitori e degli altri anziani saggi del paese ai quali erano giunti frammenti di racconti anche se privi di una ricucitura logico-sistemica, nell’affiancare e sostenere il lavoro di ricerca certosino portato avanti con tenacia dallo storico locale maestro Sabatino Di Cicco ed oggetto poi di una sua pubblicazione.

L’insieme di queste conoscenze furono alla base dello stimolo che mi spinse alla progettazione per la ristrutturazione della chiesa e del suo campanile, possibile attraverso un finanziamento richiesto e concesso dalla Regione Lazio. L’opera venne poi realizzata dall’amministrazione seguita alla mia con il Sindaco Violi. Contestualmente all’azione di ricerca del finanziamento e di progettazione mi ero prefisso un altro obiettivo: acquisire al patrimonio comunale i locali ancora fruibili nella parte seminterrata del vecchio monastero e con essi la porzione da cui si diparte l’accesso al camminamento interrato che, attraverso un percorso sottostante la piazza (ex chiostro interno del complesso monastico), fungeva da collegamento con l’interno della chiesa.

Dopo lunga e non facile trattativa raggiungemmo l’accordo con i proprietari e le somme concordate accantonate e rese disponibili nel bilancio dell’ente. Facemmo predisporre l’atto pubblico dal Segretario Generale e restammo in attesa che venissero completate le acquisizioni della documentazione necessaria per la firma dello stesso. Essendo giunto alla fine del mandato amministrativo non feci in tempo a sottoscrivere l’atto. L’amministrazione Violi non procedette a completare l’iter ed utilizzò le somme accantonate per altre finalità.

Durante l’esecuzione delle opere di demolizione e ricostruzione del campanile si commise un autentico delitto. L’impresa esecutrice con i suoi mezzi meccanici, non informata e quindi priva degli elementi conoscitivi di carattere storico che caratterizzavano il bene e della attenzione e tutela da adottare, demolì parte del camminamento interrompendone il percorso. In modo silente si provvide celermente alla ricopertura del tutto e si procedette al completamento dei lavori. Venni a sapere dell’accaduto, purtroppo, molto tempo dopo.

I lavori odierni sulla piazza di cui si è venuti a conoscenza solo con l’inizio degli stessi (l’urgenza è chiaramente dettata dall’imminente scadenza del mandato ammnistrativo) si stanno eseguendo senza il preventivo parere della Soprintendenza ai beni culturali, monumentali ed architettonici e in dispregio della normativa vigente che tutela tali beni; ciò rischia di compromettere ulteriormente la stabilità del sottostante camminamento e di stravolgere il carattere originario dell’intero complesso storico con l’inserimento di elementi materici di forte contrasto in un borgo antico a prevalente caratterizzazione rurale.

Sono il risultato di una chiusura su se stessi testardamente perseguita i cui danni irreversibili continuano ad essere ignorati. Ai rilievi giustamente mossi da chi il paese lo ama e si preoccupa del suo futuro (Arch. Viviana Cuozzo) si contrappone una reazione rabbiosa e scomposta. Intolleranti al confronto si manifesta una supponenza priva di elementi di vera conoscenza nella convinzione che i cittadini vadano trattati come sudditi, tributari acritici di riconoscenza a prescindere.

Eppure “Democrazia”, come diceva Giorgio Gaber in una sua canzone, “è partecipazione”.

E’ da questi comportamenti che si comprende perché Sant’Elia negli anni è divenuto un paese senza voce, senza prospettive, dove si vive in una quotidianità che si trascina stancamente, avvilente e mortificante. Con un Esecutivo privo di capacità progettuale, di una visione di futuro che dia speranza, fiducia ed indichi percorsi ed obiettivi da raggiungere e un Consiglio Comunale sul quale, in assenza di dibattito, è calata un’ombra che impedisce di abbracciare l’orizzonte di una via migliore e la rappresentanza è divenuta corpo morto svuotato delle viscere, incapace di rivendicare e riaffermare il ruolo di questa orgogliosa comunità nel contesto territoriale. Si rifugge dal confronto.

Emerge evidente anche la responsabilità delle opposizioni che subiscono inermi la tracotanza di questa maggioranza dimentichi, tutti, che in democrazia “la maggioranza propone e gestisce, la minoranza controlla e stimola”. L’unico che avuto il coraggio di distinguere la propria posizione rispetto a quella di una maggioranza inetta ed arrogante, di cui pur faceva parte rinunciando al suo ruolo di assessore e alla relativa indennità di carica, è stato Raffaele Ruscillo che con tenacia continua a denunciarne, inascoltato, le inefficienze e omissioni che la caratterizzano.

Diceva S.Agostino “La speranza ha due figli: l’indignazione – dice le cose che non ti piacciono; il coraggio – dice le cose che ti piacciono”.

Perché non si alimenti ulteriormente “La stanchezza della speranza e il nostro pigro fatalismo” auguro a me stesso e a tutti i santeliani che si ritrovi l’antico orgoglio e che si torni tutti, assieme, a ridare vita alla nostra comunità e con passione a riscrivere nuovi capitoli di questa interessante storia.

                                                                                                                                 Fortunato Di Cicco

 

                                                                                                                     





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