Le pagelle del Quirinale. Chi vince e chi perde

Le pagelle del Quirinale. Chi vince e chi perde
di autore Alberto Simone - Pubblicato: 30-01-2022 00:00 - Tempo di lettura 1 minuti

I NOSTRI VOTI - Salvini un disastro totale: rafforza la Meloni e fa restare al Colle un ex esponente del Pd. Conte (spalleggiato da Grillo) brucia la Belloni e perde la sfida interna con Di Maio. Letta riesce in quello che voleva: far restare alla guida dell'Italia Draghi e Mattarella. Renzi dimostra ancora una volta che la sua bravura è pari alla sua antipatia. Ma non avere un nuovo Capo dello Stato rappresenta una sconfitta per tutti, per il Parlamento

MARIO DRAGHI - VOT0 10

Fino a un anno fa era l'erede "naturale" di Sergio Mattarella, il suo nome circolava con insistenza per succedere al Capo dello Stato. Poi nel febbraio del 2021 il presidente della Repubblica lo ha voluto a Palazzo Chigi per gestire la difficile crisi. Aveva due strade, oggi, Draghi: riuscire ad andare al Colle quest'anno oppure restare presidente del Consiglio con la "copertura politica" di Mattarella. Che con molta probabilità non resterà al Colle per l'intero mandato e potrebbe spalancargli le porte tra qualche anno. Non è un caso che sia stato proprio Draghi ad intercedere con il Capo dello Stato per chiedergli di restare.

LUIGI DI MAIO - VOTO 7

Verrebbe da ridere a vedere le manovre messe in atto oggi dal ministro degli Esteri per far sì che Mattarella restasse al Colle. Da capo politico del M5S, nel 2018, voleva infatti mettere in stato d'accusa il presidente della Repubblica con un voto in Parlamento. Da allora Luigi Di Maio è maturato, e molto. Oggi sarebbe l'orgoglio dei democristiani della Prima Repubblica e così ha scatenato le "sue" truppe parlamentari contro il Capo Politico del M5S.

Ha indebolito Giuseppe Conte e si è rafforzato all'interno del Movimento. Soprattutto: ha "salvato", facendo squadra con il Pd (non più il Partito di Bibbiano), la sua poltrona alla Farnesina. Insufficienza netta sotto il profilo etico e morale, per la coerenza calpestata. Ma politicamente sicuramente un vincitore di queste elezioni: ha raggiunto l'obiettivo che voleva fuori, ma soprattutto dentro il M5S.

MATTEO RENZI - VOTO 8

Un'antipatia come pochi, una superbia che lo ha infatti portato a sbattere nel 2016 quando guidava il Pd al 40%. Adesso guida un piccolo partito al 2%. In Parlamento poteva contare su poco più di una cinquantina di Grandi Elettori su 1.009 votanti: praticamente ininfluente, dal punto di vista numerico. Eppure, con la sua abilità politica, pari alla sua antipatia, è riuscito a mandare in tilt i grandi partiti. Ha fatto saltare l'asse giallo-verde quando Salvini e Conte hanno tentato la forzatura sulla Belloni anche se la sua opposizione a questa ottima candidatura è apparsa a molti pretestuosa e ingenerosa: avrebbe potuto essere la prima donna a salire al Colle, e sarebbe stata una splendida presidente. 

E’ stato il vero cecchino dei candidati di destra: ha affossato, in modo paziente e politico, prima la candidatura di Berlusconi, sottraendogli i 35 grandi elettori di Coraggio Italia con i quali ha quasi stretto un patto sul Quirinale, poi si è opposto a Casellati. Con Casini avrebbe fatto scacco matto ma la riconferma di Mattarella lo vede vincitore: era stato lui, del resto, a proporlo sette anni fa.

ENRICO LETTA - VOTO 9

Letta ha attuato la cosiddetta "strategia dell’opossum": fingersi morto e restare zitto. Rimanendo fermo mentre i suoi avversari si muovevano davvero male, ha visto bruciare le candidature di Berlusconi e di Casellati. Dopo giorni di trattative è riuscito ad ottenere il "conclave" e sembra che abbia portato lui il nome di Belloni al tavolo Conte-Salvini. All'uscita del vertice non ha dato però la candidatura per scontata perchè sapeva che la strada era ancora in salita e ha fatto bene a non cercare di intestarsela: quello era un errore da pivelli, e Letta non è un pivello. Con un partito più che dimezzato rispetto a sette anni fa, riesce a far restare al Colle un presidente proveniente dal Pd.

E sono 23 anni che il Centrosinistra riesce ad esprimere il presidente della repubblica: Ciampi (1999), Napolitano (2006), Napolitano bis (2013), Mattarella (2015), Mattarella bis (2022). Il suo vero obiettivo era quello di portare Draghi al Colle ma ha dovuto fare i conti con le resistenze contiane del M5S. Una forzatura e un accordo con il centrodestra sul nome del premier avrebbero rotto l'alleanza del Centrosinistra, per questo già lo scorso 11 gennaio, ospite nel salotto di Floris a "Dimartedì", Letta aveva preparato il terreno: "Mattarella bis? Sarebbe il massimo". E massimo è stato!

MATTEO SALVINI - VOTO 3

Non ne ha azzeccata una, neanche per sbaglio. Ha spaccato il Centrodestra, ha rafforzato la Meloni, ha portato al Quirinale un ex esponente del Pd, ha indebolito i nemici di Draghi e ha messo insieme Pd e M5S.  Ha bruciato in un unico falò Berlusconi, Casellati, Belloni più un’altra mezza dozzina di nomi “quirinabili” (da Casini a Cassese passando per Frattini e Moratti) e si è fatto prendere a schiaffi da Meloni e dall’intera Forza Italia, che a un certo punto ha dichiarato di staccarsi dalla sua “leadership”.

La ciliegina sulla torta l'ha messa venerdì sera quando ha annunciato "urbi et orbi" a favore di telecamere che l'Italia, per la prima volta, grazie alla Lega avrebbe avuto un presidente della Repubblica donna. Gli era andata meglio al Papeete, insomma.

GIUSEPPE CONTE - VOTO 4

Come ha ben scritto "Linkiesta", ha chiarito al mondo di non controllare il suo gruppo, avendo sempre dietro di sé Di Maio che gli faceva il controcanto su ogni cosa. Conte diceva “Ci vuole una donna” e Di Maio dopo mezzora diceva “Voteremo Mattarella”. Conte diceva “Andiamo al voto molto determinati contro Casellati” e Di Maio “Non partecipiamo al voto”. Conte diceva “Proporremo Belloni” e Di Maio “Belloni mai, è il capo dei servizi”. Quando ha cercato di intestarsi la candidatura di Belloni è riuscito a farsi disistimare perfino dai membri del suo vero partito, il PD di osservanza bettiniana e orfiniana.

Anche lui il clou lo ha raggiunto venerdì sera: dopo che Salvini aveva annunciato che il prossimo presidente della Repubblica sarebbe stata una donna, anche lui si è scapicollato dai giornalisti a fare lo stesso, clamoroso errore, con la speranza di intestarsi la vittoria pur sapendo che la strada era tutt'altro che in discesa. Sapeva, che non era facile e quindi per cercare di compattare l'ala "dimaiana" dei 5S ha spinto anche Grillo - così dicono i retroscena - a fare un tweet di endorsement per la Belloni: una Caporetto fuori e dentro il Movimento. Può godere per un solo risultato ottenuto: non voleva Draghi al Quirinale e ci è riuscito. Vittoria di Pirro!

GIORGIA MELONI - VOTO 6

Emerge come l’unica leader di Destra e presumibilmente raccoglierà l’esito di come ha gestito questa elezione in termini di consenso popolare, sebbene dei due obiettivi che aveva (la crisi di governo e eleggere un presidente di Destra o Centrodestra) non ne porta a casa nessuno. A voler vedere il bicchiere mezzo pieno è una vittoria su tutta la linea: ha portato avanti la posizione più identitaria e coerente. Si è opposta a Draghi e allo stesso modo ha detto no al Mattarella bis.

Il Centrodestra aveva però l'occasione di poter eleggere il Capo dello Stato essendo maggioranza relativa: serviva un lavoro di diplomazia che sarebbe dovuto partire mesi fa con un diverso approccio. In quel caso sarebbe stato un trionfo, ma per lei la partita si chiude certamente con piena sufficienza.

IL PARLAMENTO - VOTO 5

Che il Parlamento eletto nel marzo di 4 anni fa era composto in larga parte da persone che mai e poi mai avrebbero rinunciato alla loro poltrona si era intuito già dopo più di un anno quando il M5S pur di non andare a casa passò dall'alleanza con la Destra di Salvini alla Sinistra del Pd e di "Sinistra Italiana": due partiti che quando erano all'opposizione dicevano tutto il male possibile dell'alleanza giallo-verde ma appena gli si sono spalancate le porte del Governo non hanno esitato un attimo e si sono rimangiati anche la battaglia per dire No al taglio dei parlamentari nel Referendum di settembre 2020.

Insomma, da un Parlamento così composto non ci si aspettava di certo un miracolo, ma almeno il fatto di riuscire ad eleggere un nuovo presidente della Repubblica senza ricorrere all'usato sicuro. Sicuro, soprattutto per loro, di arrivare a settembre per maturare il vitalizio e quindi completare la legislatura. E non ha torto Giorgia Meloni quando dice che "sono stati barattati 7 anni di presidenza della Repubblica per avere la certezza di altri 7 mesi di Governo". Uno spettacolo poco edificante dove tutti, anche i vincitori, hanno davvero ben poco da festeggiare.

 





Articoli Correlati