Parole, parole, parole...

Parole, parole, parole...
di autore Elisa Di Bello - Pubblicato: 29-11-2020 00:00

RUBRICHE - Sin dalla nascita tra genitori e figli si instaura una relazione indelebile, costruita in progressive fasi, che si basa principalmente sulla comunicazione. Parlare con i propri figli è importante, già da piccolissimi

di Elisa Di Bello

La comunicazione è un processo di trasmissione di messaggi da un emittente a un ricevente, nel nostro caso dai genitori ai figli e viceversa. Ma ovviamente questa non è costituita soltanto dal linguaggio, che ne rappresenta comunque lo strumento più efficace, è arricchita dalla comunicazione non verbale, fatta di sguardi, posture e segnali che possono verificarsi solamente nel faccia a faccia, che fanno da supporto al linguaggio ed esprimono soprattutto emozioni e sentimenti. Nella relazione genitori figli la comunicazione non verbale permette la realizzazione del legame sin dai primi mesi, ed essendo questa una relazione intima, è il canale principale dell'emotività.

C'è da dire che il linguaggio è una prerogativa umana, non appartiene agli animali che comunque comunicano tra di loro. Molti studiosi si sono interessati a questa specifica differenza tra noi e il mondo animale. Il professor Massimo Ammaniti il un bellissimo volume dedicato alle madri (Pensare per due, nella mente delle madri, Laterza), affronta proprio questo concetto a proposito del viso e degli occhi: "La comunicazione che avviene attraverso lo sguardo rappresenta uno dei tratti distintivi della specie umana, ed è favorita dalla sua posizione eretta. [...] Questa comunicazione rappresenta pertanto una tappa evolutiva importante, in quanto riveste un ruolo assai significativo nel rapporto fra genitori e figli. Il legame che presto si stabilisce infatti, non solo garantisce la sopravvivenza della prole, ma favorisce anche l'apprendimento e l'acquisizione da parte del bambino delle capacità comunicative". Lo sguardo ha una funzione essenziale nell'educazione dei figli: permette di essere sinceri, di percepire, negli occhi, il sentire dell'altro. Insegna a rispettare chi ti parla, dando la giusta considerazione a quel momento di dialogo, insegna a non mentire e a confrontarsi. In uno sguardo il bambino percepisce approvazione, negazione, incoraggiamento, orgoglio, felicità o tristezza: è difficile mentire con gli occhi. 

I giorni successivi alla nascita servono ai neonati ad imparare a riconoscere suoni già familiari, come la voce della mamma e del papà. Quindi il parlare ai neonati aiuta ad orientarli in questa nuova dimensione. Ascoltare le voci e i suoni della casa arricchisce la loro esperienza e genera curiosità verso le fonti nuove. Durante la crescita il bambino imparerà ad ascoltare sempre di più i suoni emessi dagli adulti e proverà a fare delle associazioni con gli oggetti. Ecco perché è molto importante avviare un dialogo precoce con i neonati: spiegare loro ciò che stiamo facendo gli chiarisce quella esperienza. Ad esempio se deve fare il bagnetto oppure stiamo preparando il pranzo è utile raccontare le nostre azioni, al fine di renderlo comunque partecipe ad una situazione che lo coinvolge. Parlare con i bambini li aiuta inoltre negli apprendimenti cognitivi, poiché lo stimolo linguistico è un elemento in più per imparare nuove cose.

Nel corso della crescita il bambino impara a distinguere la realtà circostante da se stesso e inizia a compiere azioni autonome; intorno ai due anni arriva la fase che Piaget definisce periodo preoperatorio, nel quale è capace di imitazione, gioco simbolico e acquisisce la padronanza del linguaggio. Grazie a questa nuova rappresentazione mentale il bambino riesce a compiere astrazioni e a parlare di oggetti e persone assenti o lontane nello spazio e nel tempo e quindi a creare una nuova relazione con il mondo circostante. Piaget descrive il linguaggio dei bambini in età prescolare come un linguaggio egocentrico, fatto di monologhi e commenti ad alta voce in sottofondo alle azioni. Vygotskij sostiene che questo linguaggio egocentrico non è dovuto al fatto che il bambino è incapace di cogliere la dimensione sociale, al contrario segna il passaggio dall'uso del linguaggio come strumento esterno di comunicazione all'interiorizzazione del meccanismo mentale. 

È così che il bambino arricchisce il suo vocabolario e impara ad usare correttamente le parole. I tempi di acquisizione sono differenti e variano a seconda delle predisposizioni personali e degli stimoli ricevuti. Se ad un bambino si parla molto, è abituato ad ascoltare storie, a rispondere ad una comunicazione verbale in forma di monologo genitoriale, avrà maggiori stimoli per la produzione della verbalizzazione. Ad esempio uno stimolo particolarmente interessante agli occhi dei bambini in questa fase sono i libri. Le illustrazioni permettono al bambino di riconoscere l'oggetto della lettura e generano in lui curiosità, gli permettono di formulare associazioni che verificherà con l'esperienza. In alcuni bambini intorno ai 3 o 4 anni si nota lo slancio nel provare a leggere, improvvisando racconti e dialoghi, le storie di libri che in precedenza gli sono stati letti. È un lavoro molto complesso che riguarda la memoria, la fantasia e le abilità linguistiche appunto.

L'esperienza più importante attraverso la quale i piccoli sperimentano la conoscenza è il gioco. Questa attività è fondamentale per la progressione cognitiva, fisica ed emotiva. Il gioco è una grande opportunità per i genitori attraverso la quale conoscere sfumature caratteriali dei propri bambini. Giocando insieme a loro si scopre per esempio che sanno fare molte più cose di quanto crediamo e che senza volerlo hanno ascoltato più volte quello che noi adulti ci siamo detti, cogliendone perfettamente il senso. 

La verbalizzazione delle esperienze aiuta molto i bambini ad esprimere i propri desideri, le paure, le frustrazioni, le incertezze. Allo stesso tempo è molto importante raccontare ai bambini la realtà circostante, utilizzando un linguaggio a loro comprensibile e vicino ai loro vissuti, per aiutarli a comprendere un fatto di portata più ampia. Raccontare loro il terremoto vuol dire prepararli ad un evento di emergenza; vedere e commentare il tg insieme serve a farli riflettere sulla quotidianità; spiegare gli eventi significa permettergli di crearsi un'opinione. Dialogare con loro vuol dire sostenerli nella comprensione del mondo, specialmente durante la crescita che li porta fino all'adolescenza. Poi arriva una fase più complessa che ogni individuo vive tra contraddizioni e ricerca di sé, e il dialogo con i genitori assume caratteristiche sempre più specifiche. 

Ammaniti ancora una volta ci ricorda nel testo già citato che "la qualità delle cure influenza fortemente la qualità della relazione che il bambino stabilisce con l'adulto: se il bambino percepisce la disponibilità dell'adulto ad occuparsi di lui, svilupperà una solida fiducia relazionale".

La relazione comunicativa tra genitori e figli si modifica nel corso della crescita, segue talvolta una strada tortuosa, in salita, con il terreno scivoloso, e anche se per un tratto ci si perde di vista, il contatto viene facilmente ristabilito, proprio grazie a quel legame instaurato nel tempo. 





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