Un milione di laziali rinunciano alle cure per motivi economici

Un milione di laziali rinunciano alle cure per motivi economici
di autore Redazione - Pubblicato: 07-10-2020 00:00

SANITA' - È quanto emerge dal Rapporto di Censis e Rbm Assicurazione Salute. Carmine Di Mambro: "Nella provincia di Frosinone i dati sono anche peggiori di quelli regionali"

L’anno scorso quasi 1 milioni di laziali hanno avuto difficoltà a pagare di tasca propria prestazioni sanitarie che non sono riusciti ad avere nel servizio pubblico soprattutto regionale a causa di lunghe liste di attesa, quasi 800mila persone hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o indebitarsi per curarsi, quasi 200mila laziali sono entrati nell’area della povertà a causa di spese sanitarie private. Ma ci sono anche quelli che non riescono a curarsi perché non possono permetterselo: sono quasi 1 milione i laziali che l’anno scorso hanno rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria per motivi economici, 120 mila in più rispetto all’anno precedente. È quanto emerge dal Rapporto di Censis e Rbm Assicurazione Salute.

Più invecchi, più spendi

Ammonta a quasi 3 miliardi la spesa privata dei laziali per avere prestazioni sanitarie, compreso il pagamento dei ticket, con un aumento del 4,2% tra il 2016 e il 2019. Per i citradini laziali è la nuova normalità pagare per la sanità: non solo i benestanti pagano per avere prestazioni sanitarie ma anche il 64% di persone a basso reddito, il 76% di questi sono malati cronici. Più si ha bisogno di sanità più si spende di tasca propria. Fatta 100 la spesa sanitaria privata pro-capite dei laziali, per un malato cronico si arriva a 121, per un anziano a 146, per una persona non autosufficiente a 212. E aumentano le disuguaglianze sociali, 1,3 milioni di persone hanno dovuto ridistribuire i consumi per far fronte alle spese sanitarie. La spesa sanitaria privata pesa di più su chi ha meno (oltre il 74% di persone a basso reddito), su chi ha più bisogno della sanità per curarsi (circa il 50% delle famiglie ha una persona non autosufficiente in casa).

Liste di attesa sempre più lunghe

Ma perché i laziali si rivolgono al privato pagando di tasca propria? Secondo il Rapporto, soprattutto perché l’attesa per le prestazioni sanitarie nel servizio pubblico è troppo lunga e spesso richiede anche l’esborso del ticket. Per una mammografia si attendono in media 142 giorni. Per una colonscopia l’attesa media è di 1333 giorni, ma si arriva anche a 149 giorni. Per una risonanza magnetica si attendono in media 90 giorni, in alcuni casi sono necessari 121 giorni. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 77 giorni e sale a 89 giorni. Per una visita ginecologica si attendono in media 57 giorni in alcuni casi ne servono 82. Per una visita ortopedica l’attesa media è di 86 giorni con un picco di 97 giorni.

Non hai i soldi? Non ti curi

Il miracoloso recupero di sostenibilità finanziaria del Servizio sanitario non è stato indolore, sottolinea il Rapporto del Censis: alla minore copertura pubblica fa da contraltare il più alto ricorso alla sanità pagata di tasca propria. E a chi non ce la fa economicamente non resta che la rinuncia o il rinvio delle prestazioni. La spesa sanitaria pubblica laziale si riduce rispetto al passato e rispetto alle altre regioni e l’area della «sanità negata» si espande. Sale a 1,2 milioni il numero di cittadini della nostra regione che nell’ultimo anno hanno rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria per ragioni economiche: oltre 120 mila persone in più rispetto all’anno precedente.

Disuguaglianze sociali ma anche territoriali

"Il Rapporto - spiega l'ex consigliere comunale Carmine Di Mambro - evidenzia le crescenti disparità nelle opportunità di cura dei cittadini. A dichiararsi soddisfatto del Servizio sanitario pubblico è circa il 47% e la percentuale dei cittadini convinti che nell’ultimo anno il Servizio sanitario sia peggiorato nella nostra regione è aumentata notevolmente. Il Rapporto evidenzia che più di un cittadino su quattro non sa come far fronte alle spese necessarie per curarsi e subisce danni economici per pagare di tasca propria le spese sanitarie, ormai l’universalismo sanitario è solo di facciata. Logicamente, in base agli ultimi dati pubblicati, nella provincia di Frosinone i numeri - conclude Carmine Di Mambro - sono anche peggio di quelli della media della regione Lazio".





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