RUBRICHE - Oggi Francesca Messina ospita il racconto di Benedetto Di Paola di Rocca D'Evandro
Il sabato a Cassino
Fine anni Cinquanta – inizio anni Sessanta.
Cassino risorgeva dalle macerie e tornava a vivere.
Ovunque, in città, era un frenetico lavorio e un rifiorire di attività e di negozi; già si avvertivano i primi segni del ‘boom’ economico.
Il sabato, giorno di mercato, si respirava un’aria fresca di speranza ed era palpabile la voglia di cogliere il futuro dietro l’angolo.
La mattina, verso le otto, una fiumana di variopinta umanità ciociara-campana-molisana, una babele di idiomi e di sotto-idiomi, traboccava dalla ‘galleria Zeppieri’, capolinea delle omonime corriere blu gracchianti e sgangherate, con le portiere a chiusura manuale e la scaletta esterna, in coda, per salire ai portapacchi sul tetto. E si riversava, dinamica e fluttuante, nello slargo antistante, già giornalmente affollata di studenti, fino a riempirla da non passarci uno spillo.
Dai paesi e dai villaggi di montagna e di campagna scendevano giù dalle corriere anziane contadine e ortolane, imbacuccate in scialli grossi come coperte, grembiuli grigi o a fiori, gonne lunghe fino alle caviglie e scarponi da cui facevano capolino massicce calze di lana grossa lavorata ai ferri. In testa, in equilibrio, portavano canestri da cui fuoriuscivano creste rosse di polli o si intravedeva varia mercanzia da vendere al mercato: ortaggi, legumi, castagne, ‘ciammelle’, ‘marzellini’…
Intanto sulla folla galleggiava, minuscola barca sulle onde, la bagnarola zincata del venditore di lupini, un ometto spigoloso dai capelli brizzolati a spazzola. “Lupini- lupini, lupini-lupini, lupini-salati. Un bicchiere dieci lire!” ripeteva ossessivamente mentre tra le mani un pezzetto di carta gialla e dura assumeva forma di cono in cui scaraventava un bicchiere di lupini … sempre mezzo vuoto. Sennonché, con la mente occupata a imbrogliare il prossimo, non si accorgeva che dei ragazzacci, dai finestrini aperti delle corriere, gli sgraffignavano manciate di quei preziosi legumi dorati.
Sul marciapiede a lato della biglietteria prendeva abitualmente posto un cantastorie, sempre lo stesso. “Signore e signori, vi voglio raccontare la triste storia di … “; e iniziava a raccontare e a cantare al gentile pubblico qualche tragico fatto di cronaca (ricordo quello dell’assassinio di Armando Lavorini, un bambino) mentre con una bacchetta scorreva sulle vignette a fumetti del cartellone sottolineando i momenti di patos con agghiaccianti rullii di tamburo o, a volte, con sbuffi cupi di fisarmonica.
In un bugigattolo all’angolo del vicolo adiacente il negozio ‘Singer’, sul lato destro del palazzo Zeppieri, al di là di via Sferracavalli, Carminuccio, da solo e per primo a Cassino, si mise a sfornare teglie e teglie di pizza aglio-olio-origano-pomodoro, profumatissima, trenta lire il pezzo … una fila interminabile di studenti.
A pochi passi, sullo stesso marciapiedi, brillava nel suo lindore la pasticceria ‘da Peppino’, un gioiello di pulizia, di eleganza e di profumi intensi di sfogliatelle e di zuppe inglesi. Peppino preparava i suoi capolavori nel laboratorio a vista mentre la ‘Signora’ moglie (assomigliava a Moira Orfei), in ordine impeccabile, serviva i clienti con modi finemente aristocratici.
Per recarsi alla zona-mercato si attraversava piazza Labriola-Tribunale-Portici. Qui non era raro imbattersi in un imbonitore, venditore di bottigliette contenenti medicamenti miracolosi in grado di portarsi via tutti i malanni, prodotto nuovo di una famosa quanto inesistente casa farmaceutica; o in un ex-giostraio a torso nudo che sbarcava il lunario racimolando qualche spicciolo col piattino dopo aver fatto saltare le maglie di una catena stretta attorno al torace con la forza dei muscoli pettorali.
Per le vie delle bancarelle, traverse di viale Dante, scivolava lentamente tra la calca un vecchio che imbracciava una fisarmonica rossa ‘a bottoni’. ‘Cucozza’ si chiamava. Mentre lui suonava su una spalla se ne stava appollaiato un pappagallo che, a richiesta, per cinque lire, scorreva col becco su una risma di foglietti sistemati in una scatoletta di cartone da cui ne estraeva uno a caso; era ‘la pianeta’, una specie di oroscopo.
Spesso si incrociava con il venditore di chincaglierie, dalle movenze feline, che ostentava la sua cassetta ricolma poggiata sulla pancia e trattenuta da una cinghia che, fissata ai lati, gli passava dietro la nuca. “Moll’, pett’n, lamètt! Lamètt Elios –Solinghèn – Germania! Accattat’v ‘e lamètt p’a barba!” ripeteva con voce ormai roca e consunta.
Ai crocicchi, improvvisamente, si materializzava il giocatore delle ‘tre carte’ o dei ‘tre campanelli con pallina nera’ attorniato da un codazzo di compari in incognito. Appena intascata qualche mille lire sottratta ai malcapitati sempliciotti che si erano accalcati attorno a lui convinti di ‘farlo fesso’ … “Polizia! Polizia!” farfugliava e, in preda a una fretta del diavolo, chiudeva il banchetto e spariva.
Verso le tredici il mercato terminava. Gli ambulanti smontavano le bancarelle; gli studenti e le anziane contadine, commercianti per un giorno, tornavano lentamente alla ‘galleria Zeppieri’.
Intanto giovani coppiette si tenevano teneramente per mano mentre, tra lo sferragliare delle macchine dell’autoscontro, gli altoparlanti ‘Geloso’ diffondevano le canzoni del momento … ‘Ventiquattromila baci’ … ‘Tu sei romantica’ … ‘Marina’ …
Altro tempo.
Benedetto Di Paola (Rocca D'Evandro)
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