Gkn e Stellantis: pienone a Cassino. Domani nuovo stop in Fca

Gkn e Stellantis: pienone a Cassino. Domani nuovo stop in Fca
di autore Alberto Simone - Pubblicato: 06-12-2021 00:00

SINDACALE - Sabato pomeriggio in tanti hanno preso parte all'iniziativa promossa da Rete degli Studenti medi e Fiom Cgil. Questa mattina la comunicazione di un nuovo fermo per lo stabilimento pedemontano. Tensione alle stelle. [FOTO E VIDEO]

Ancora uno stop per lo stabilimento Fca Cassino Plant. Venerdì i cancelli sono rimasti chiusi, oggi si sta lavorando regolarmente ma domani già c'è l'ennesima fermata collettiva. Il motivo? Ancora una volta la mancanza dei semiconduttori. Sono oltre80 i giorni di fermo totale dall'inizio dell'anno e, continuando con questi ritmi, è facile presagire che si arriverà a quota 90 prima del 2022. Si lavora infatti, mediamente, non più di 2 o 3 giorni a settimana.

Problematiche, queste, sollevate anche nel corso dell'incontro promosso sabato pomeriggio dalla rete degli Studenti medi e dalla Fiom Cgil nella sala Restagno. Incontro a cui hanno preso parte gli operai del Collettivo Gkn di Firenze.

Ecco, di seguito, l'intervento dell'operaio Aldo Croce dell'indotto Fca di Cassino che spiega perchè c'è un filo conduttore che lega la battaglia di Stellantis a quella della Gkn

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C’è un filo conduttore che lega il destino degli operai della GKN di Campi Bisenzio con gli operai di tutte le altre fabbriche italiane, soprattutto quelle legate all’industria dell’auto e dell’indotto: - la voracità di una classe dirigente industriale che, grazie a un governo totalmente appiattito sulle posizioni di Confindustria, è sempre più spregiudicata e senza alcun limite;- una legislazione del lavoro, quella italiana, sempre più spinta verso leggi e contratti nazionali che favoriscono la precarizzazione del rapporto di lavoro e l’impoverimento degli operai;- il completamento della totale delocalizzazione dell’assetto produttivo del Paese;- il controllo e la repressione del conflitto sociale in tutte le proprie forme. Lo stesso filo conduttore dovrebbe muovere le ragioni degli operai: quando 400 operai vengono licenziati, il problema non è e non deve essere solo dei 400 operai colpiti, ma di tutti gli operai italiani.

Non solo per un senso di appartenenza di classe, ma proprio perché quando il padrone vince in una fabbrica di 400 operai, vince in tutta Italia. Quando il padrone vince, tutti noi operai perdiamo. Quando il padrone vince a Campi Bisenzio, poi vincerà anche a Cassino. Sono un operaio dell’indotto della FCA e da due anni insieme ai miei colleghi viviamo la condizione di esuberi strutturali, ovvero di operai considerati inutili nell’economia locale. Una condizione frustrante per chi, come noi, lavora nell’indotto per FCA da 10, 20 e 30 anni. Una condizione, quella di esubero strutturale, che somiglia molto ai dead man walking, a morti che camminano.

Gli ultimi due anni li abbiamo trascorsi a lavorare sei, cinque e anche quattro giorni al mese, con salari decurtati del 50% per il continuo ricorso agli ammortizzatori sociali, e con molti di noi, assunti part time, che non superano i 400 euro al mese. Ma non per questo vogliamo o dobbiamo piangerci addosso. Anzi, piangerci addosso e chiedere commiserazione non è nel modus operandi del movimento operaio. Il diritto al lavoro e il perseguimento delle rivendicazioni sociali non devono essere elemosinati, ma conquistati e difesi con la lotta, con il sacrificio, con l’impegno e con tutta l’intelligenza possibile. Sono un operaio dell’indotto FCA, di una delle tante ditte del ginepraio industriale dell’area del cassinate, uno tra le migliaia di operai che fa il lavoro sporco per conto della casa madre, uno dei tanti operai che rischiano fin dalle prossime settimane di essere espulsi dal mondo del lavoro.

Ma spero di essere anche uno dei tanti operai che avrà acquisito la consapevolezza che soltanto una vertenza unitaria di tutti i lavoratori della FCA e dell’indotto possa arginare le velleità padronali di avere carta bianca su tutto e disporre dei lavoratori a proprio piacimento. Nelle settimane scorse, grazie all’impulso e all’organizzazione della FLMU Cub di Cassino, abbiamo svolto tre presidi davanti i cancelli della FCA per iniziare a sollecitare i nostri colleghi alla lotta, quella vera, non quella di facciata, per anticipare i tempi, perché le lotte a fabbriche chiuse hanno una valenza e un’efficacia decisamente minore. Un po’ come, per intenderci, gli scioperi generali di sabato, a fabbriche chiuse. Attendere che le mucche escano dal recinto è la cosa più sbagliata che si possa prospettare. Ebbene, durante i presidi davanti ai cancelli della FCA abbiamo notato una netta diffidenza verso le azioni di lotta.

Negli ultimi venti anni siamo stati educati a delegare tutte le questioni sindacali alle segreterie provinciali sindacali e a confidare sulla mera forza di interposizione dei corpi intermedi politici e sindacali, ovvero dei partiti e dei sindacati confederali. E questo è l’errore più grande che si possa commettere in questa fase, perché delegare il proprio futuro ad altri vuol dire abdicare al ruolo storico del movimento operaio. I due tavoli tecnici nazionali dell’automotive, tenutisi ad aprile e settembre, hanno evidenziato la netta inconsistenza dei vuoti impegni che sono stati assunti. Nello stesso momento in cui si fornivano rassicurazioni sulla tutela dell’assetto occupazionale dell’automotive, iniziavano gli incentivi all’esodo e i metodi diciamo persuasivi per accettare la pensione anticipata.

Mentre a Roma si diceva che nessun posto di lavoro sarebbe stato perso, a Pomigliano scippavano le produzioni per trasferirle in Polonia, a Melfi chiudevano una linea di montaggio e a Cassino si è passati al turno unico di lavoro. Mentre a Roma si dicevano tutti soddisfati per gli impegni assunti nel trilaterale Governo, Confindustria e Sindacati, nelle fabbriche iniziava il più lungo periodo di ricorso agli ammortizzatori sociali, lo stillicidio di posti di lavoro e lo smantellamento di interi reparti di produzione. Insomma, mentre a Roma ci si dichiara soddisfatti, qui a Cassino si butta il sangue.

E noi operai dell’indotto, delle società terziarizzate e delle aziende dei servizi, siamo i primi a pagare per le scellerate e pericolose politiche industriali del nostro Paese. Rappresentiamo l’anello debole della catena della produzione, la parte più vulnerabile, quella che vede già le mucche scorrazzare fuori dal recinto. Finora siamo stati educati ad affrontare singolarmente le questioni che ci siamo trovati di fronte, con i tanti tavoli tecnici aperti alla Regione Lazio o al Ministero del Lavoro: un tavolo per ogni crisi aziendale, un tavolo per ogni vertenza territoriale, un tavolo tecnico per ogni questione occupazionale. Ecco, questo modello di relazioni sindacali va ribaltato, da subito, e lottare per un’unica vertenza territoriale che ponga la piena occupazione come priorità del nostro territorio.

Non ci stiamo a essere spettatori, o a ricevere la solidarietà passiva dei rivoluzionari della domenica, ma vogliamo essere protagonisti del nostro futuro e puntare sulla solidarietà attiva delle forze sociali e politiche del territorio. E, soprattutto, dobbiamo saper prendere le distanze da chi continua, nonostante tutto, e strumentalmente, a rassicurarci, a dirci che che andrà tutto bene, che nessun posto di lavoro sarà perso, che la ripresa è imminente, che dobbiamo stare tranquilli. Noi operai metalmeccanici oggi abbiamo un’enorme responsabilità politica: quella di tornare ad essere punto di riferimento delle punte più avanzate delle rivendicazioni e delle lotte.

Punto di riferimento della solidarietà attiva tra lavoratori, punto di riferimento dell’intera categoria degli operai italiani. Dipenderà da noi e da nessun altro. I finti litigi e i finti interventi in cui “esprimiamo forte preoccupazione per lo stabilimento Stellantis di Piedimonte San Germano”, che ogni giorno leggiamo sui giornali per tramite dei cosiddetti onorevoli del territorio, sono mere passerelle. E le patetiche e ridicole passerelle dei cosiddetti onorevoli aumenteranno ogni giorno di più con l’aumentare delle incertezze, perché tutti vorranno “azzuppare il pane” sul nostro malessere. E questo non lo permetteremo.

Ve lo diciamo da oggi: se la situazione dovesse precipitare, non presentatevi davanti ai cancelli della fabbrica per esprimere solidarietà di facciata e commiserazione, perché dietro ogni operaio che perde il posto di lavoro c’è proprio l’indifferenza, se non la complicità, di una intera classe dirigente politica che negli ultimi 30 anni ha “lavorato” per affossare il diritto del lavoro. Le vertenze in essere della GKN, Alitalia, Ilva, Electrolux, Whirlpool, solo per citare quelle più importanti, testimoniano che c’è un preciso disegno di smantellamento dell’assetto produttivo della nostra nazione per una delocalizzazione di massa delle produzioni manifatturiere.

Ecco, noi operai ci prenderemo anche l’impegno di difendere l’assetto produttivo della nostra nazione, perché senza lavoro la nostra nazione non ha futuro. L’appello che oggi lanciamo a tutti gli operai del territorio è quello raccogliere e rilanciare la parola d’ordine degli operai della GKN: INSORGIAMO. Sì, insorgiamo, rimaniamo uniti, intensifichiamo le iniziative sindacali pubbliche e cerchiamo di determinare le condizioni affinché anche a Cassino possa nascere un vero blocco sociale conflittuale in grado di scrivere una nuova pagina del nostro territorio. Una pagina di resistenza che ci veda protagonisti e parte attiva del nostro territorio. Insorgiamo anche qui a Cassino!





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