RUBRICHE - Un cammino avvolto nella leggenda, tra passione, incanto e realtà. Oggi Giulia Zaccardelli ci porta a Pescasseroli
Oggi andiamo a Pescasseroli.
Dovunque siate, dedicatevi 5 minuti per questo viaggio fuori regione, per cui nessuno vi chiederà l’autocertificazione, né vi multerà. Qualsiasi cosa stiate facendo, interrompetela e seguitemi in un cammino avvolto nella leggenda, tra passione, incanto e realtà.
Pescasseroli è nel cuore del Parco Nazionale di Lazio, Abruzzo e Molise, in provincia dell’Aquila. Sorge in una valle immersa tra i Monti Marsicani, a pochi passi dalle sorgenti del fiume Sangro. Qui la natura si esprime in tutta la sua bellezza e varietà, che rendono questa città un gioiello paesaggistico da scoprire in ogni stagione dell’anno. Il turista che la visita per la prima volta ne resta incantato, l’amante, già esperto e appassionato, vi fa ritorno ogni volta che può.
Da Cassino si raggiunge percorrendo una strada che il fine settimana è molto familiare ai motociclisti, essendo ricca di curve, che offrono punti panoramici molto suggestivi, sia agli occhi più spericolati, sia a quelli più curiosi.
Luogo di villeggiatura in estate, per l’aria frizzante e fresca che respira, e in inverno, dove la neve ricopre il sovrastante Monte delle Vitelle, su cui è possibile sciare, Pescasseroli offre tantissimi luoghi da visitare, percorsi immersi nella natura, e boccate d’ossigeno da respirare a pieni polmoni dagli alti punti panoramici che ci lasciano senza parole.
Saliamo su, ai piani alti della città, e prima del cimitero scopriamo l’imbocco di un sentiero del CAI, il B3, con cui attraversiamo un bosco di pini neri tra cui non è insolito vedere, e sentire, scoiattoli e picchi. Il percorso non è impegnativo: sinuose curve si snodano sotto i nostri piedi, e la luce è celata dalla presenza di una vegetazione fitta, che, a poco a poco, scompare, e sole e pietre iniziano ad apparire al nostro sguardo.
Inoltrandoci sul sentiero, passeggiamo tra i resti di una torre centrale più grande, e tre di avvistamento. Siamo arrivati ai ruderi di Castel Mancino, una fortificazione voluta dai signori Borrello nell’XI secolo, per difendere il territorio dai Saraceni e dagli Ungari. Nel basso medioevo si susseguono i conti di Celano, poi Di Sangro e D’Aquino, come signori del feudo.
Le rovine non ci narrano solo la storia, ma anche un’intensa leggenda che dà il nome alla città di Pescasseroli. Ai tempi delle Crociate, Seroli, il figlio del conte Mancino, residente nel castello, si innamora di Pesca, una ragazza araba con gli occhi neri, dolce, decisa e sensuale.
Si sposano, ma il padre di lui è profondamente geloso della bellezza della donna, e della freschezza del giovane amore, così, in assenza del figlio, approfitta di Pesca. Distrutta dalla vergogna ed in preda alla disperazione, la donna si uccide sotto le torri del castello. Al suo ritorno, Seroli, folle di dolore, trapassa il suo cuore con la spada, e si lascia morire sul corpo dell’amata.
Oggi si chiama Pozzo di Malafede il luogo in cui è avvenuta la tragedia della leggenda, e, idealmente, Pesca e Seroli possono rimanere uniti nella morte, così come non hanno potuto fare nella vita.
In realtà l’origine del nome è dibattuta: Benedetto Croce ci parla di “Pesculum ad Sorolum” cioè masso presso il piccolo Sangro, riferendosi alle vicine sorgenti; oppure “pesclum” luogo alto e ripido, e “seroli” da serra, la parte finale del passo che congiunge alle montagne delle Serre.
Che sia una leggenda o una realtà l’origine del nome Pescasseroli, è riconciliante concedersi un momento per sé in questo angolo abruzzese. È forte la sensazione di sentirsi protetti nell’abbraccio di questa natura ospitale, di cui celebriamo in silenzio la magnificenza.
Sediamoci su una pietra e rimaniamo in contemplazione. Le montagne circostanti, incorniciale dai rami, ci osservano, mentre il vento fa vibrare le corde dell’anima, che si nutre del suo tocco, e il cuore tracima di pace davanti ad un panorama così avvolgente, nel cui silenzio e nella cui quiete si riconosce.
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