Operaio resta con le mani sotto le presse e perde nove dita. La Cassazione fa chiarezza sulle responsabilità

Operaio resta con le mani sotto le presse e perde nove dita. La Cassazione fa chiarezza sulle responsabilità
di autore Alberto Simone - Pubblicato: 24-01-2021 00:00

GIUDIZIARIA - Dopo oltre vent’anni si conclude il calvario per il rappresentante della sicurezza dello stabilimento dell’indotto Fiat. La Suprema Corte riconosce le ragioni del caposquadra assistito dall’avvocato Christian Cifalitti

Dopo ventidue anni la Suprema Corte di Cassazione mette la parola fine al calvario giudiziario del rappresentante della sicurezza di un’azienda dello stabilimento Fiat chiudendo di fatto anche il filone civile, oltre che quello penale. Ricapitoliamo: nel 1999, durante il turno notturno, un operaio di una delle aziende del Cassinate dello stabilimento Fiat (oggi Stellantis) di Piedimonte San Germano, ha riportato serie conseguenze a causa di un infortunio sul lavoro: è rimasto con le mani sotto le presse e ha perso ben nove dita.

Si è immediatamente aperto il procedimento penale  a carico dell’amministratore della società e del rappresentante della sicurezza, ovvero uno dei capisquadra. In primo grado il tribunale di Cassino ha condannato entrambi; poi, nel 2010,  in appello, il delegato alla sicurezza - difeso dall’avvocato Christian Cifalitti - è stato prosciolto perchè ritenuto non responsabile in quanto era stato nominato da sole 48 ore. Tutta la responsabilità è quindi ricaduta sul solo amministratore dell’azienda.

Si era però intanto aperto anche il procedimento civile in quanto l’Inail che aveva corrisposto l’invalidità al lavoratore rimasto vittima dell’infortunio - invalidità stimata in 600.000 euro - ha chiesto il recupero di tale somma citando in giudizio sia l’amministratore che il delegato alla sicurezza, pur se prosciolto in sede penale. Anche in questo caso in primo grado il tribunale di Cassino, nel 2014, aveva condannato il caposquadra a corrispondere tale somma all’Inail.

In appello, l’assistito dell’avvocato Cifalitti era riuscito nuovamente a riconoscere le sue ragioni e venerdì, dopo un calvario lungo 22 anni, è arrivata la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione: il caposquadra - unico rimasto a poter essere “aggredito” patrimonialmente dall’Inail per il recupero della somma, visto che nel frattempo l’azienda è fallita - è stato riconosciuto definitivamente innocente e l’Inail quindi condannata a pagare le spese processuali. L’avvocato Cifalitti non nasconde la sua soddisfazione per la sentenza. Una sentenza  che scrive finalmente la parola fine sulla triste vicenda.





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