Opinioni - Lello Valente esalta il ruolo di Alcide De Gasperi, ed è giusto ricordare la sua visione di un’Europa che rispettasse le identità nazionali e i valori della civiltà cristiana. Tuttavia, dimentica che l’UE nata dai Trattati di Roma ha ben poco a che vedere con l’utopia di Spinelli
L’articolo di Lello Valente, pur muovendo da una premessa condivisibile – la possibilità di cambiare idea come segno di intelligenza – si presta a una serie di riflessioni critiche quando si entra nel merito del Manifesto di Ventotene e del concetto di europeismo.
Innanzitutto, è vero che la coerenza assoluta può risultare un limite, ma lo è altrettanto il mutare posizione senza una chiara giustificazione ideologica, storica o politica. Il punto nodale dell’analisi non può limitarsi a constatare che sia avvenuto un mutamento di posizioni su Ventotene e sull’Europa, bensì occorre interrogarsi sulle ragioni e sulle conseguenze di tale mutamento.
Valente afferma che il Manifesto di Ventotene non necessiti di un’analisi grammaticale. Eppure, è proprio dall’analisi delle parole che si evincono le vere intenzioni di Spinelli e dei suoi compagni. Il Manifesto, infatti, non si limita a una generica esortazione all’unità europea, ma delinea un progetto di Europa governata da un’avanguardia rivoluzionaria, non da istituzioni democratiche rappresentative.
La frase chiave, che non può essere trascurata, recita: “la libertà non può essere assicurata con l’opera di forze politiche reazionarie, né con quella di movimenti popolari spontanei, ma solo un’avanguardia rivoluzionaria capace di condurre il processo di trasformazione”. Questo concetto è direttamente ispirato a "Che fare?" di Lenin, in cui si teorizza il ruolo guida dell’avanguardia nella rivoluzione. Il partito rivoluzionario deve agire come guida delle masse, poiché esse non sono in grado di sviluppare autonomamente una strategia politica coerente per abbattere il sistema capitalistico.
Da qui nasce la teoria dell’“avanguardia rivoluzionaria”, composta da militanti professionalmente dediti alla lotta politica, che devono educare le masse e dirigerle nel processo rivoluzionario. È questa l’essenza del Manifesto, non un generico richiamo a un’Europa unita, ma la concezione di un’élite che guida le masse, riprendendo concetti tipici del leninismo.
Non a caso, il Manifesto di Ventotene venne ignorato dall'allora PCI, che si posizionò sulle idee staliniste, mentre Spinelli era un leninista convinto. Emblematico fu il Congresso di Napoli, in cui l’allora segretario Luigi Longo definì l’idea di Europa come capitalistica e frutto dell’imperialismo americano. Solo con l’implosione dell’ideologia marxista si ebbe un cambiamento di rotta nella sinistra italiana.
Valente ricorda, giustamente, che nel 1957 il PCI si oppose ai Trattati di Roma, mentre oggi i suoi eredi sono diventati i più strenui sostenitori dell’europeismo.
Tuttavia, non si interroga su cosa significhi questa mutazione: non è stata una conversione spontanea, ma un riposizionamento strategico successivo al crollo del muro di Berlino. Con l’implosione del comunismo, la sinistra ha cercato una nuova narrazione identitaria e ha riscoperto Spinelli come padre nobile di un europeismo che, in realtà, nei fatti non ha mai avuto alcun peso nel processo di costruzione dell’UE. Basti pensare che, nonostante l’Europa sia stata governata dalla socialdemocrazia per molti decenni, le nazioni partecipanti non hanno mai preso seriamente in considerazione la Proposta Spinelli, votata nel Parlamento Europeo, che è rimasta lettera morta nel processo reale di integrazione europea.
E qui sta il paradosso: mentre la sinistra ha strumentalizzato Ventotene per costruire un mito fondativo ex post, la destra italiana – che nel 1957 votò a favore dell’integrazione europea con il MSI di De Marsanich – ha criticato non l’idea di un’Europa dei popoli, ma la deriva tecnocratica e centralista che si è imposta negli ultimi decenni. FDI non ha cambiato idea sull’Europa, ha contestato il modo in cui l’Unione è stata costruita, trasformandosi in un apparato burocratico lontano dai cittadini.
Valente esalta il ruolo di Alcide De Gasperi, ed è giusto ricordare la sua visione di un’Europa che rispettasse le identità nazionali e i valori della civiltà cristiana. Tuttavia, dimentica che l’UE nata dai Trattati di Roma ha ben poco a che vedere con l’utopia di Spinelli. La costruzione europea è stata il frutto della visione di uomini come De Gasperi, Schuman e Adenauer, non certo di un ex comunista che guardava con sospetto alla democrazia rappresentativa.
Inoltre, è interessante notare come Valente concluda il suo articolo invitando i parlamentari a rendere omaggio alla memoria di De Gasperi. Sarebbe un invito condivisibile, a patto che non venga usato per riscrivere la storia, mettendo sullo stesso piano la lucida realpolitik di De Gasperi e il sogno tecnocratico di Spinelli. Perché la vera domanda da porsi non è chi ha cambiato idea, ma chi ha davvero compreso cosa significhi costruire un’Europa che rispetti la volontà dei popoli e non sia ostaggio di élite illuminate che pretendono di guidarli dall’alto.
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