Salari da fame e carichi di lavoro eccessivi: l'odissea degli operai Stellantis

Economia - L'amarezza delle tute rosse dello stabilimento di Cassino è palese: in fabbrica regna lo scetticismo e la preoccupazione per il futuro. "I sindacati? Bene la mobilitazione del 18 ottobre ma non dimentichiamo di loro hanno firmato tutti gli accordi che ci hanno portato a questa situazione e ci dicevano di essere ottimisti..."

Salari da fame e carichi di lavoro eccessivi: l'odissea degli operai Stellantis
di autore Alberto Simone - Pubblicato: 05-10-2024 17:07 - Tempo di lettura 3 minuti

Carichi di lavoro eccessivi, buste paga decurtate dagli ammortizzatori sociali, incertezze sul futuro e scetticismo, molto scetticismo, nei confronti anche dei sindacati . All’interno di Stellantis, tutto quel che sta accadendo in questi giorni è visto con occhi diversi: con rassegnazione e disillusione. Ma anche con tanta paura. Nessuno, infatti, ha voglia di parlare. Chi lo fa, preferisce l’anonimato, "perché il clima in fabbrica è già molto pesante, potrebbero esserci ripercussioni”, dicono le poche tute rosse che concedono dichiarazioni.

Ieri, come accade ormai da inizio anno, i cancelli si sono chiusi alle 14: fino al 31 dicembre si lavora su un turno unico, a rotazione, in regime di solidarietà. Tanto basta per mostrare rassegnazione: “Ormai si lavora non più di 8/10 giorni al mese, dal momento che ci sono le turnazioni ed è stato eliminato il secondo turno. Quando poi ci sono lunghi stop come capitato di recente - racconta un operaio - veniamo in fabbrica un giorno a settimana. È evidente che c’è un disegno chiaro di ridimensionare la fabbrica, chi può infatti si aggrappa alle uscite incentivate perché qui non c’è futuro. Io non so se la Fiat - a me piace ancora chiamarla così - davvero chiuderà, come pensano in molti. Personalmente non credo, ma allo stesso tempo non siamo mai stati così rassegnati, c'è aria di dismissione, certamente ci sarà ancora una forte ridimensione".

Ad oggi, lo ricordiamo, con le uscite incentivate che ci sono state all’inizio dell’anno, gli operai sono circa 2.500: in sei anni, da quando cioè ci sono state le ultime 300 assunzioni insieme alla partenza della produzione del Suv Stelvio dell’Alfa Romeo, c’è stata un'emorragia occupazionale spaventosa. A gennaio 2018 l’allora Fca di Cassino - non c’era ancora stata la fusione con Psa e la nascita di Stellantis - contava oltre 4.000 addetti e si lavorava su due turni con una produzione di circa 500 vetture al giorno. Ad oggi l’impostato giornaliero è fissato a 195 vetture: come emerso dal report della Fim-Cisl il calo nei primi nove mesi rispetto a 6 anni fa è del 52,5%, al 30 settembre di quell'anni infatti lo stabilimento aveva sfornato oltre 41.000 vettore, oggi sono poco più di 19.000.

Meno produzione non significa però meno lavoro per gli operai, anzi. È sempre una tuta rossa interna allo stabilimento a lamentare infatti i pesanti carichi di lavoro: “I nostri colleghi sono a casa in regime di solidarietà mentre noi siamo costretti a ritmi massacranti sulla catena di montaggio, tutto ciò non ha una logica. Come il fatto che è divenuto ormai una brutta abitudine di mandarci a casa dopo poche ore di lavoro perché manca il materiale: si denota una mancanza di rispetto mai vista prima, eppure fino ad alcuni anni fa si facevano carte false per avere un posto di lavoro in Fiat, era un orgoglio lavorare qui”.

Gli operai non nascondono l’amarezza e lo scetticismo. Pochi sembrano intenzionati a seguire i loro rappresentanti nella grande mobilitazione indetta per il 18 ottobre: “I sindacati? Molti di loro hanno firmato di tutto, prima con Marchionne e adesso con Tavares, hanno permesso che l’azienda mandasse a casa 532 interinali con un messaggino, questo non lo dimentichiamo. Se siamo arrivati a questo punto, probabilmente è stato anche per il loro atteggiamento. Adesso che sta crollando tutto si mobilitano? Sono in ritardo, così come i tanti politici che si fanno vedere fuori dai cancelli solo in campagna elettorale ma per noi e per questa fabbrica in questi anni non hanno fatto nulla di concreto, solo chiacchiere”.

Un giudizio severo, quello sui sindacati, condiviso anche da chi ha lasciato la catena di montaggio pochi mesi fa. A inizio anno c’è stata infatti una nuova ondata di uscite incentivate: ad approfittarne non sono stati solamente coloro vicini alla pensione, ma anche molti cinquantenni. E proprio un ormai ex operaio poco più che cinquantenne, ci racconta perché ha deciso di cogliere l’offerta proposta dall’azienda. “O accettavo le trasferte - come hanno fatto i più giovani - oppure non arrivavo a fine mese. Certo, alla mia età non è facile rimettersi in gioco e trovare un nuovo lavoro, ma sicuramente era più difficile rimanere in quella fabbrica con uno stipendio da fame e un clima che si faceva ogni giorno più pesante”.





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