La strada dei figli non è quella dei genitori

La strada dei figli non è quella dei genitori
di autore Elisa Di Bello - Pubblicato: 24-01-2021 00:00

RUBRICHE- Il compito arduo dei genitori è quello di affiancare i figli sulla loro strada, dare indicazioni adeguate alla crescita, senza mai sostituirsi a loro. Devono imparare a cadere e rialzarsi da soli, con la certezza che i loro “vecchi” sono pronti a sostenerli sempre, ma senza invadere la loro carreggiata

di Elisa Di Bello

Il genitore è colui che si prende cura del figlio, ad ogni costo lo protegge in ogni situazione. Agli occhi di un genitore il figlio ha bisogno di protezione sempre; in ogni momento la mente dell’adulto è proiettata a dare sostegno e a fare da scudo ai piccoli che da soli non sono in grado di scorgere i pericoli del mondo.

Sin da quando muovono i primi passi i genitori tendono ad mettere in atto costantemente una protezione prevalentemente fisica, che mira ad evitare ai figli il dolore, il farsi male, il cadere. Questa protezione è istintiva e fisiologica, quindi guai se non si manifestasse. Se così fosse ci troveremmo davanti ad un genitore talvolta poco capace di svolgere il suo ruolo, disorientato nel compito di guidare i piccoli nella crescita.

Questo continuo sostegno da parte dei genitori è evidente nelle prime fasi della crescita, proprio perché i neonati non sono autonomi, quindi hanno un bisogno totale di attenzioni e molto spesso anche di qualcuno che faccia le cose per loro. Il genitore è un mediatore tra il bambino e il mondo esterno. Se pensiamo ad un neonato che inizia a scoprire la realtà gattonando, possiamo immaginare a quanti pericoli va incontro se non ci fosse un adulto sempre presente ad evitare che possa tirare oggetti, sbattere contro pareti, divani e quant'altro. Ma questa esplorazione è la sua scoperta, è la sua esperienza del mondo, quindi man mano che il bimbo compie questo esercizio impara nuovi elementi: se mette i piedi fuori dal tappeto il pavimento è più freddo, se lascia cadere un oggetto esso produce un suono, se riesce ad arrivare al divano può persino alzarsi sulle gambe e guardare un pò più in là! Tutte queste conoscenze esperienziali per lui in questa fase sono fondamentali, servono a costruirsi la sua idea di realtà.

 Ai primi passi in posizione eretta l’ansia dell’adulto aumenta e inizia una fase delicata, attraverso la quale il bambino impara ad essere autonomo e il genitore sperimenta un nuovo modo di stargli accanto. Una volta acquisita la sicurezza nella posizione, il bambino diventa padrone di questa nuova conquista e anche gli adulti realizzano che il piccolo è in grado di andare da solo. Ecco appunto: andare da solo. Il camminare è il primo passaggio che segna la separazione tra genitori e figli. 

Dalle cadute si impara, inciampando si capisce che è meglio rialzarsi subito e riprendere la corsa. Da adulti consapevoli sappiamo bene che è proprio dagli errori che si impara, ma quando si tratta dei nostri figli siamo sempre pronti a proteggerli, ad evitargli quel fallo. Questo atteggiamento non è sempre corretto, non è detto che produca un risultato positivo a lungo termine. Quando più avanti i bambini si confronteranno con i loro pari in un parco giochi dovranno saper giocare in autonomia, dovranno saper correre, saper cadere, rialzarsi e ridere di questa esperienza. 

Proteggere vuol dire anche dare appoggio, senza per forza intervenire, ma piuttosto garantendo la presenza costante a sostegno dei figli e offrendola loro soltanto dopo esplicita richiesta.  Questo appoggio silenzioso, a volte invisibile a volte impercettibile, contribuisce alla creazione di una buona autostima. Una tra le più celebri frasi della Montessori non a caso è: "Aiutami a fare da solo". Questo principio si traduce proprio con il concetto poco fa esplicitato: il bambino vuole realizzarsi in autonomia, ma per fare ciò ha bisogno dell'aiuto dell'adulto, ma non di un aiuto invadente, ha bisogno che gli vengano forniti gli strumenti adeguati alla realizzazione del compito. L'adulto deve limitarsi a predisporre la situazione ideale nella quale i bambini devono imparare a muoversi autonomamente. Se il bambino vuole imparare a lavarsi i denti è chiaro che deve osservare un adulto che compie quell'azione e deve avere a disposizione uno spazzolino, un dentifricio al quale può togliere il tappo e un lavandino dove arriva ad aprire il rubinetto. Senza i mezzi adeguati alle sue esigenze non potrà farlo da solo. Sarà l'adulto che lo farà per lui, e non è la stessa cosa.

I bambini devono imparare a fare da soli anche e soprattutto nell'approccio relazionale. Una volta che inizieranno a frequentare i loro compagni a partire dal nido nella prima infanzia fino all'adolescenza, non avranno i genitori lì accanto ad aiutarli in ogni cosa, dovranno imparare a cavarsela da soli, a gestire gioie, amicizie, frustrazioni, vittorie e sconfitte che determineranno man mano i loro comportamenti ed il loro agire.

Dovranno affrontare delusioni, fronteggiare fallimenti, sperimentare senso di colpa davanti al richiamo degli insegnanti, ad una marachella, alla presa in giro di un compagno o una zuffa tra bambini. Queste piccole cose gli daranno la possibilità di crescere, l’occasione di imparare soprattutto dagli eventi negativi. 

Recentemente Paolo Crepet ha affermato rivolgendosi ad una platea di genitori che "quando un genitore dice: non ho mai fatto mancare niente a mio figlio, esprime la sua totale idiozia. Perché è compito di un genitore far mancare qualcosa. Perché se non ti manca niente a che ti serve la curiosità, a che ti serve l'ingegno, a che ti serve il talento e tutto quello che abbiamo in questa scatola magica (la testa, il cervello)".  Questo per dire che i ragazzi vanno spronati non serviti, vanno aiutati a studiare non raccomandati, vanno educati non resi dipendenti dai genitori. 

Si fa di tutto per essere un buon genitore, ma si sa che è un mestiere difficile: non esiste la perfezione, non c’è un modello vincente, si impara anche quello strada facendo. E si capisce abbastanza presto che i nostri figli imparano quasi tutto da noi, volente o nolente. Apprendono i meccanismi che regolano il mondo osservando noi e il nostro comportamento, le azioni e le idee che muovono gli atteggiamenti.

Segniamo in un modo o nell'altro le loro strade e dobbiamo essere abbastanza bravi da poter dare loro indicazioni adeguate alla crescita, ma mai sostituirci a loro, non possiamo fare il percorso di crescita al loro posto, possiamo e dobbiamo indirizzarli, ma solo standogli accanto, non seduti alla guida.

Leggendo una recente pubblicazione di Roberto Saviano, Gridalo (Bompiani) c'è un passaggio molto interessante che affronta proprio questo aspetto. L’autore scrive così: "Voglio solo darti una mappa. Voglio solo metterti in guardia. [...] Se entri in un bosco con la cartina dei sentieri in mano, non è che il cammino diventa predeterminato. La cartina non ti salva dalla fatica di attraversare il guado, non ti ripara dalla sterpaglia fitta, che dovrai spesso strappare, e soprattutto nessuna cartina ti impedisce di perderti lungo il cammino; forse te lo rende più sicuro, mostrandoti dove stai andando: certamente ti evita di sprecare tempo a percorrere strade che non conducono da nessuna parte. Con la cartina in mano, ed è questo che mi sta a cuore dirti, potrai vedere in anticipo il luogo dell'imboscata. Perché quella - posso garantirtelo - arriverà. Non appena la radura si farà più folta e le gole scenderanno a picco sul burrone, l'imboscata arriverà. Prevedilo. A quel punto del tuo cammino sarai catturato. E dopo sarà la notte. Forse arriverà anche il dubbio e la paura".

Costruire un rapporto di fiducia con i propri figli vuol dire non spezzare mai il filo che li tiene legati a noi senza impedirgli di camminare, talvolta di volare o di fermarsi a prendere fiato se necessario. E non smettere mai di ascoltarli. Quel filo che rappresenta i nostri valori, le nostre idee, la nostra educazione non sarà reciso se alla base c’è la consapevolezza che i nostri figli sono persone, e pertanto sono distinte da noi, con un loro carattere e una esperienza propria e unica, irripetibile e straordinaria ma profondamente simili a ciò che noi siamo stati e a quello che abbiamo trasmesso loro.

Se la loro strada in alcuni punti risulta sdrucciolevole non dobbiamo essere pronti lì ad asfaltarla, piuttosto dovremmo fare da guard rail e attutire le botte. Quando hanno superato quel tratto difficile dovremmo dargli una pacca sulla spalla e continuare ad accendere in loro il desiderio di scoprire cosa c'è dopo la curva successiva, senza mai arrendersi davanti ad una frana.





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