Sfruttati e invisibili, le storie di commessi e baristi messi in ginocchio dalla crisi

Sfruttati e invisibili, le storie di commessi e baristi messi in ginocchio dalla crisi
di autore Alberto Simone - Pubblicato: 15-11-2020 00:00

L'INCHIESTA - Impiegati a 2 euro l'ora. Lavorano l'intera giornata ma sono contrattualizzati part time. Alcuni non sanno neanche cosa sia un contratto. Non ricevono i contributi. Adesso il Covid gli ha tolto anche l' opportunità di guadagnare per sopravvivere. Qualcuno ha tentato fortuna altrove. La storia di Monica, "rinata" a Bologna, e le testimonianze di chi tenta di resistere barcamenandosi tra Cassino e dintorni. E i sindacati stanno a guardare

Prima del Covid non andava meglio, mettiamolo in chiaro. Ma l’emergenza sanitaria ed economica ha vessato ancor di più un settore particolarmente fragile: quello dei lavoratori dipendenti nei negozi. I commessi. I baristi. Ma non solo. Non hanno grandi rappresentanze sindacali, non riescono a far sentire la loro voce. Tutti conoscono la loro condizione, ma è come fossero invisibili. Non si tratta ovviamente della totalità: ci sono realtà solide dove questi lavoratori hanno una retribuzione dignitosa. Spesse volte si ritrovano invece a guadagnare 25 euro al giorno, lavorando 12 ore: ovvero 2 euro l’ora.

E adesso? Ora che la pandemia ha assestato un altro duro colpo al commercio e all’economia com’è cambiata la condizione di questi lavoratori? Chi si occupa di loro? I sindacati neanche a parlarne. Abbiamo acceso i riflettori sulla città di Cassino per capire di cosa stiamo parlando. Le testimonianze raccolte dipingono un quadro a tinte fosche che pone qualche interrogativo: perchè nessuno si occupa di questi lavoratori? Perchè nelle industrie del settore metalmeccanico, tanto per fare un esempio, le organizzazioni sindacali giustamente scendono in piazza e scioperano per chiedere il rinnovo contrattuale delle tute blu mentre nessuno si occupa di questi lavoratori che in alcuni casi neanche lo hanno, un contratto, o hanno contratti che definire precari è un eufemismo? Perchè non si chiede una giusta ed equa retribuzione?

LE TESTIMONIANZE

Oggi, mediamente, i commessi guadagnano non più di 500 euro al mese. Coloro che sono impiegati nei negozi di generi alimentari nella prima fase dell'emergenza sanitaria sono stati definiti dei “piccoli eroi”, al di sotto solo del personale medico, perchè grazie a loro i negozi sono potuti restare aperti. Poi è arrivato il contraccolpo della crisi economica e i complimenti sono stati sostituiti in taluni casi anche dai licenziamenti. “Lavoravo in uno studio fotografico di Cassino, ci racconta una giovane 30enne della città martire - . Guadagnavo fino a 600 euro al mese ed è stato uno dei lavori che mi ha dato maggior soddisfazione sia da un punto di vista economico che professionale. Ho ancora un ottimo rapporto con i titolari ma purtroppo a causa della crisi ho dovuto lasciare il lavoro. Adesso lavoro a provvigione per un’azienda del territorio. Non va affatto bene, ci sono mesi che si rischia di guadagnare poco o nulla. A ottobre ho incassato 470 euro”.

Sempre restando a Cassino, raccogliamo la testimonianza di un’altra ragazza. Poco più di trent’anni. Ha lavorato in un bar fino a poco tempo fa. E adesso? “C’è stato un calo, ha avuto difficoltà ed ha iniziato a ritardare nei pagamenti. Io avendo la qualifica di barman - e in città siamo in pochi - riuscivo a guadagnare fino a 50 euro al giorno, ma so di colleghi che guadagnano non più di 20 o 30 euro al giorno. Ho lavorato anche a Roma e a Londra: è evidente che a Cassino la vita è meno cara quindi si guadagna di meno. Poi dipende dalle situazioni.

In alcuni casi si registra un vero e proprio sfruttamento, io stessa molte volte ho lavorato senza contratto e con scarsa retribuzione, debbo però riconoscere che non è sempre colpa dei “padroni”. Molto dipende anche dallo Stato: io credo che i titolari dei locali andrebbero incentivati con meno tasse, altrimenti a pagare il prezzo più alto saremo sempre e solo noi dipendenti”.

In attesa che ciò si realizzi, che fare? L’alternativa è lasciare definitivamente Cassino. E’ il caso di Monica, 48 anni. Da 5 anni vive a Bologna. E la sua vita è cambiata radicalmente. “Mi sono laureata a 26 anni. - dice - . Cassino è la mia città, ho lasciato tutti i miei affetti. Non è stato facile. Ma non ho potuto fare diversamente.

Di fatto a Cassino lavoravo full time, ma ero contrattualizzata e pagata part time: 700 euro al mese per 30 ore settimanali. Poi quando i miei datori di lavoro hanno saputo che aspettavo il secondo figlio volevano licenziarmi. Dopo dieci anni di lavoro, tra il 2005 e il 2014, ho detto basta. Tutte situazioni molto ambigue che alla fine mi hanno spinto a fare le valigie, seppure a malincuore.

Dal 2015 sono a Bologna. Sono stata assunta in uno studio commercialista a 1.500 euro al mese, poi in breve tempo sono diventata autonoma. Devo ammettere che neanche qui i sindacati sono molto “forti” sul tema, ma è anche vero che non c’è affatto la situazione di Cassino. Il mercato del lavoro è molto diverso. E’ più difficile trovare il lavoratore che non il lavoro e quindi è impensabile fare proposte imbarazzanti ed assumere a poche centinaia di euro al mese. Un altro mondo, assolutamente”.

Eppure siamo nella stessa Nazione, ma è evidente che la cartina del nostro Paese aveva colori diversi già prima della pandemia: regioni dove il lavoro è tutelato e preservato e zone dove invece lo sfruttamento è all’ordine del giorno in molte realtà: Cassino, purtroppo, è in “zona rossa” già da decenni in questa speciale cartina. E i sindacati, anche quelli “rossi” e battaglieri, nulla o quasi hanno fatto per migliorare la situazione. Poi dice che uno fa le valigie e se ne va!





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